Aprile 28, 2024
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Dopo la diffusione del fenomeno del Quiet Quitting (letteralmente “dimissioni silenziose”), intorno al mondo del lavoro, orbita un fenomeno complementare, ovvero il Quiet Firing: licenziamento silenzioso. Con quest’espressione si fa riferimento ad un ambiente di lavoro tossico che spinge il lavoratore ad abbandonare l’organizzazione. Il Quiet firing indica un processo che induce il dipendente a non sentirsi più parte dell’azienda per cui lavora. Il processo è “silenzioso” perché il lavoratore non lascia fisicamente l’organizzazione, ma a livello psicologico è come se lo facesse perché non ha più motivazioni per restare.

Perché si verifica il fenomeno del Quiet Firing?

Il fenomeno del Quiet firing si verifica perché esistono realtà aziendali incapaci di ascoltare e valorizzare il capitale umano, cioè le persone. Non è un problema attuale, è sempre esistito. Oggi però, questi fenomeni ripercuotono maggiore risonanza perché il mondo del lavoro è ormai attraversato da inversioni di paradigma e cambiamenti strutturali. In passato si aveva più timore di sollevare le problematiche relative al proprio lavoro per paura di perderlo. Nella società odierna, invece, le nuove generazioni sono più consapevoli dei loro bisogni e dunque manifestano determinazione nel raggiungimento dei loro obiettivi.

Per i Millennials e la Generazione Z, il lavoro significa benessere, stare bene, sentirsi valorizzati. Se questi elementi non sussistono, le organizzazioni conducono le persone fuori dall’organizzazione. “Fuori” mentalmente in quanto i lavoratori non hanno più stimoli per produrre. Ed è così che si verifica il quiet firing. Va da sé che sebbene il fenomeno sia tacito, non è da sottovalutare. Un persistente sentimento di malcontento può concludersi nel reale abbandono del luogo di lavoro da parte del dipendente.

Motivo per cui, i responsabili delle risorse umane e i manager dovrebbero porre costante attenzione al benessere dei loro collaboratori. Quando si intercettano demotivazione, stress, distacco, bisognerebbe intervenire. In che modo? Cercando il dialogo, sondando le cause che hanno provocato il “licenziamento silenzioso”.

Capire le cause che allontanano il lavoratore dall’azienda è fondamentale sia per trattenere i talenti che per tutelare la reputazione dell’organizzazione. È antistorico credere che oggi si possa fare a meno di favorire la salute mentale dei propri collaboratori. Eppure ci sono manager e dirigenti che lo credono, procurando così una condizione di malcontento sul piano individuale e collettivo.

Di cosa hanno bisogno i lavoratori per “restare”?

Per restare all’interno di un’azienda, le persone hanno bisogno di riconoscimenti, feedback regolari e valorizzazione. Chiedono di essere al centro delle politiche aziendali, ovvero che si pensi ai loro percorsi di crescita e di formazione. Reclamano tempo libero da dedicare a hobby, interessi e affetti personali. 

I talenti restano nei luoghi di lavoro collaborativi, luoghi in cui la competenza dei colleghi è un’opportunità per imparare e non per competere. Luoghi in cui ci sia spazio per la gentilezza, per parole garbate, per confronti costruttivi e non distruttivi.

La grammatica delle buone maniere è spesso sottovalutata, e invece andrebbe allenata ogni giorno, perché un riconoscimento, un “grazie”, un “complimenti per il lavoro svolto”, possono fare la differenza. L’attenzione al singolo collaboratore è una condizione essenziale per evitare che si verifichino fenomeni come quiet quitting e/o quiet firing.

Questi ultimi si manifestano a causa di responsabili assenti, che restano inermi davanti a situazioni di turbamento e insoddisfazione. Quando invece, dovrebbe avere, l’obbligo morale di favorire il benessere delle persone. Certo, può anche accadere di provarci senza ottenere buoni risultati, ma è sempre meglio che restare fermi provocando un alto livello di turnover.

Il nocciolo della questione sta nel saper accogliere le trasformazioni dei contesti lavorativi, perché restare indietro significa restare senza persone pronte a generare valore e produttività. 

L’alfabeto delle organizzazioni attuali è composto da parole come flessibilità, ascolto, salute mentale, tempo libero, crescita, innovazione

Chi saprà imparare e disimprare a imparare quest’alfabeto potrà contare sullo sviluppo umano, economico e culturale del contesto organizzativo a cui appartiene.

Emanuela Mostrato

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