Una giornalista iraniana americana del New York Times, Fernaz Fassihi, ha raccolto documentazioni e informazioni circa le numerosissime proteste avvenute nelle città Iraniane. Trovatasi sul posto, nella sua intervista telematica con Michael Barbaro, un altro giornalista del giornale americano, ha potuto dare dettagliate testimonianze. Tra queste, anche per quella che riguarda la morte di Masha Amini, la giovane donna uccisa dalla polizia iraniana, perché non indossava correttamente l’hijab.
Fernaz racconta il giorno in cui Masha Amini è stata portata via dalla polizia.
Masha era una ragazza kurda iraniana di soli 22 anni. Era una ragazza piena di vita, giovane e solare. Quel giorno, era giunta nella capitale dal suo piccolo paesino (Saqquez) nella provincia di Kurdistan. Aveva appena ottenuto un lavoretto nella sua città ma sperava di studiare e andare all’università. Era una ragazza semplice. Giunta nella capitale col fratello a far visita a dei parenti.
Lei e il fratello arrivano alla metropolitana e all’uscita vengono fermati dalla cosidetta “morality police”. Si tratta, in sostanza, della polizia della religione Islamica, che ha il dovere di arrestare le persone che violano il codice d’abbigliamento islamico. Si sa che in Iran le donne sono obbligate ad indossare l’hijab per coprire i capelli, insieme a lunghe tuniche per coprire le curve del corpo.
Masha stava indossando l’hijab e una lunghissima veste nera e larga che copriva il corpo.
La sua famiglia insieme ad altri testimoni confermano, quindi, che non c’è stata alcuna violazione della legge sull’hijab da parte di Masha.
Nonostante questo, la polizia l’ha fermata e le ha detto che il modo in cui portava l’hijab non era adeguato. Le dissero che l’avrebbero portata in un centro di detenzione in modo che potessero rieducarla. Masha e suo fratello cercarono di resistere. Ma durò poco perché, poco dopo, la polizia li trasportò in un van, insieme ad altri detenuti, al centro di detenzione.
“Se tu sei una donna in Iran, c’è un alta probabilità che tu sia stata almeno una volta in un centro di detenzione. Perfino menzionare questi centri fa sussultare e impaurire le persone.”
Fernaz Fassihi, New York Times.
Lei stessa, essendo un’iraniana americana e avendo vissuto in Iran, ha menzionato di essere stata portata in un centro di detenzione perché mostrava troppo i capelli. Ma non si può mai sapere come la polizia possa reagire o trattarti in simili condizioni. A volte ti riprendono semplicemente a parole, altre ti danno una multa, altre ancora ti picchiano.
Masha viene portata, così, al centro di detenzione.
Il fratello aspetta fuori insieme ad altre famiglie di persone detenute come Masha. Da fuori sentono grida e discussioni. E poco dopo, arriva un ambulanza che porta qualcuno fuori. Una donna esce sconvolta dicendo che è successo qualcosa ad una ragazza. E quella ragazza era proprio Masha. Viene, quindi, portata all’ospedale insieme alla famiglia e i dottori affermano che la giovane è in coma. La foto scattata qualche giorno dopo dai parenti che ritraeva Masha distesa sul lettino, priva di sensi e intubata viene postata online e diventa virale.
Tutti sono attenti, tutti vogliono sapere. Tutti gli iraniani stanno guardando online.
Ma il giorno dopo, lei muore.
La famiglia e la maggior parte degli iraniani crede che sia stata la polizia ad ucciderla. Ulteriori testimonianze provengono dalle altre donne detenute insieme a Masha e che si trovavano con lei nel van. Hanno detto di aver visto la polizia colpire Masha, facendole subire un trauma cranico. Ma, chiaramente, il governo rifiuta le accuse e racconta la sua versione della storia. Dicendo che, in realtà, la ragazza sia collassata a causa di un attacco di cuore. Ma nessuno crede a questa storia.
Da qui scatta qualcosa. Una ribellione di moltissime donne che vogliono dimostrare la falsità del governo. In questi ultimi giorni abbiamo visto migliaia di foto di donne iraniane che si toglievano l’hijab per strada dandogli fuoco. Donne che si tagliavano i capelli in protesta della morte di Masha.
Donne stanche di questo regime. Che urlano: “donne, vita, libertà”.
Queste donne protestano contro la legge dell’hijab. Protestano per avere il diritto di scegliere. E, inoltre, protestano per l’abolizione della polizia iraniana. La lotta delle donne iraniane per ottenere questi diritti va avanti da più di 100 anni e queste ultime proteste sono il frutto di anni e anni di repressione che adesso sono esplose in un’unica gigante ribellione.
Bisogna riconoscere il coraggio di queste donne. Non si è mai vista una protesta come quella di questi ultimi giorni.
E questo è molto più che andare contro ad una legge sull’abbigliamento. Perché in Iran se tu come donna non indossi l’hijab potresti essere licenziata dal lavoro. Potresti non avere un’istruzione. Potresti essere cacciata anche da un negozio. Ma questo non è per dire che le donne iraniane non sono presenti nella società. Sono presenti eccome. A tutti i livelli. Chi è pilota, chi è professoressa, attrice, dottoressa… Ma queste donne hanno dovuto lottare tantissimo per i loro diritti. Hanno lottato per non essere marginalizzate.
E per anni hanno combattuto. Moltissime attiviste iraniane sono state imprigionate e, alcune, esiliate. Il governo ha sempre provato a bloccare qualsiasi tipo di ribellione. E non solo, ma criminalizza i loro atti, dicendo che se sei una persona a favore di questo attivismo allora sei contro lo stato.
Il governo vede nelle donne e nel loro attivismo una minaccia e lo tratta, anch’esso, come una minaccia.
Quindi, alla morte di Masha, si era già costruito questo sentimento di ribellione e risentimento nei confronti del regime. Ora in nome Masha rappresenta un codice che chiama le persone ad agire.
Ci sono state proteste in ben 85 città iraniane. E tutte queste lotte chiamano la fine della Repubblica Islamica. Vogliono la morte del dittatore.
Quindi non di tratta solo di diritti delle donne, si tratta di un intera popolazione che si sente incastrata in questo status quo oramai da troppo tempo. E non funziona più.
Si protesta anche per l’economia. La popolazione iraniana si guarda intorno e vede come altri paesi vivono in condizioni più dignitose e prosperose. Perché anche loro non possono vivere così? L’Iran è un paese molto ricco e pieno di risorse. Ma nonostante tutte queste ricchezze la gente si sente schiacciata economicamente. Questo a causa delle sanzioni imposte dagli Stati Uniti e dall’Europa nei primi anni 2000, quando si sospettava che l’Iran avesse un segreto programma nucleare. Anche se l’Iran ha negato tutto ciò. Le negoziazioni successive tra i vari stati hanno enormemente aggravato la situazione economica del paese. E quando il presidente D.J. Trump impose sanzioni ancora più salate, l’economia iraniana subì un crollo ancora più grande.
E la gente adesso protesta perché si rende conto che non ha più niente da perdere.
Vivono già una vita difficile. Quindi sono pronti a rischiare protestando. Pur di cambiare qualcosa. E, soprattutto, farsi sentire dal resto del mondo. Gli iraniani sentono di vivere in uno stato che non li ha mai ascoltati. La gente si sente politicamente marginalizzata. Queste proteste vogliono creare una rivoluzione. Ma questa rivoluzione non ha un unico leader. Tutte le persone iraniane, soprattutto le donne sono leader di queste ribellioni.
Al giorno d’oggi abbiamo avuto 50 morti, moltissime persone ferite e più di 700 arresti. Questi sono i numeri registrati ufficialmente dai gruppi dei diritti umani. Chissà quante sono le morti, i feriti e gli arresti nella realtà.
Ma se il governo e la polizia riuscisse a fermare queste proteste, come hanno fatto con tutte le altre… non saranno capaci di ‘ucciderla’. Oramai è diventato qualcosa di irreversibile.
Alcune donne iraniane affermano che non si è mai vista un’unità così forte. Sarà molto difficile, quindi, per la polizia ribaltare la situazione.
Alexa Panno