Quando Silvio Berlusconi si è presentato agli Italiani nel 1994 l’ho visto. Ho ascoltato questo signore in giacca e cravatta seduta a tavola con i miei nonni, un po’ contrariata perché avrei preferito essere intrattenuta dai cartoni animati. L’entusiasmo dei miei nonni mi ha fatto pensare che Silvio Berlusconi stesse dicendo qualcosa di estremamente interessante e giusto. Nove anni sono ancora pochi per avere un’idea politica, ma non per capire attraverso i discorsi dei grandi che qualcosa si sta muovendo. Ma soprattutto che quel discorso gettasse le basi di un’era di cui la morte di Berlusconi ha decretato la fine.
Silvio Berlusconi ha fatto parte dei dibattiti nei salotti televisivi quanto privati degli Italiani per trent’anni.
A casa mia non c’è stata festa o riunione familiare nella quale le due opposte fazioni non intavolassero dibattiti molto accesi . Berlusconiani da una parte e comunisti ancora scossi dalla morte di Berlinguer ma fiduciosi in Bertinotti e co. dall’altra .Un po’ come una famosa scena di Ferie d’Agosto di Paolo Virzì, dove Silvio Orlando e Ennio Fantastichini si danno da fare in un bel botta e risposta. Sono andata al liceo con una forma mentis ben precisa, ho fatto parte del collettivo comunista dell’Istituto, ho partecipato a tutte le manifestazioni che avevano come antagonista il governo Berlusconi.
Ricordo anche un confronto con il mio professore di Italiano, fervente seguace di Forza Italia, che alla fine mi ha stretto la mano. Silvio Berlusconi è stato forse l’unico personaggio politico che è riuscito ad instillare nei suoi seguaci quanto nei suoi detrattori e avversari politici, la stessa forza necessaria per portare avanti in un senso o nell’altro un percorso di cambiamento radicale.
Forse il segreto del Cavaliere è stato proprio riuscire ad essere innovativo ma rassicurante nello stesso tempo.
Ha conquistato più della metà degli italiani vendendosi come un leader innovatore proponendo una concezione di benessere ancora legato alla Milano da bere anni ’80. Cambia tutto ma non cambia niente. Negli anni ha interpretato il ruolo del “maschio latino” sessualmente attivo anche a 60 anni, che fa battute esplicite sul genere femminile, l’imprenditore self-made che dalle navi da crociera ha fondato un impero televisivo di cui usufruiamo tutti. Ha cavalcato l’onda della macchietta italiana, il “Guidos”come direbbero gli Americani: pizza, mandolino, mafia e pacche sul culo alle belle donne. Si è detto anche che oramai era solo un vecchietto un po’ rimbambito che faceva fare brutta figura all’Italia perché non in grado di tenere a bada i suoi freni inibitori. Ma questa è stata un’altra delle sue camaleontiche performance. Berlusconi è stato rassicurante anche per me, perché per anni ho saputo a cosa andare contro.
La morte di Berlusconi è la fine di un’era?
Sono cresciuta pensando che la politica si divide in due fazioni , ognuna delle quali ha ben presente in cosa credere e cosa portare avanti. La mia generazione è figlia della seconda Repubblica, quella delle stragi di mafia, di mani pulite, delle monetine lanciate in testa a Craxi (di cui Berlusconi è un figlio politico putativo). Del populismo e della corruzione come marchio distintivo dell’Italiano medio, di cui Berlusconi si è fatto portavoce disinvolto. Ho vissuto la crisi ideologica della sinistra che ha destabilizzato profondamente il mio percorso civile, mi sono sentita spaesata e forse ho anche invidiato chi invece ha potuto aggrapparsi ad una persona che rappresentasse un movimento politico, nonostante fosse mio avversario.
Perché Berlusconi non è stato solo un leader di partito, ha creato un’ideologia politica a sè.
La crisi della sinistra forse mi pone un passo avanti rispetto ai miei coetanei berlusconiani che oggi si ritrovano orfani di una figura controversa ma monolitica. La morte di Berlusconi forse è la fine di un’era. La scomparsa di una figura rassicurante per i suoi estimatori ma anche chi come me gli andava contro, pone la mia generazione di fronte alla responsabilità di portare avanti una identità politica individuale senza deleghe.
Paola Aufiero
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