Nel giorno dedicato al ricordo, assistiamo al rito della commemorazione delle vittime. Tuttavia, c’è il rischio che questo si trasformi in una cerimonia priva di significato. Ad oggi manca un tassello fondamentale: chi rese possibile l’assassinio di Giovanni Falcone e quanto la vicenda legata alla strage di Capaci rischia di essere strumentalizzata dalla politica attraverso un’ambigua retorica, mettendo a rischio la comprensione piena e l’analisi critica dei fatti. Tale manipolazione può compromettere la ricerca della verità e offuscare la responsabilità politica legata a quel tragico evento.
Oltre ai processi che attribuiscono alla mafia la responsabilità del massacro, manca ancora un elemento fondamentale: chi ha reso possibile tutto ciò
Questo aspetto è emerso solo parzialmente durante i processi, sfuggendo di mano nell’ultimo tratto, inseguito in una caccia logorante e poi di nuovo perduto. A trentuno anni dalle stragi del 1992, la verità rappresenta l’ultimo grande fuggitivo in questa storia di accordi, ricatti, sangue, piombo, esplosivi, sacrifici e carriere. Un intreccio di perdite e guadagni, mafia e potere. Forse è per questo che la triste ripetizione di questa giornata del ricordo è sia un doveroso tributo che un inevitabile trionfo della retorica.
Da molto tempo, l’esercizio attivo della memoria, che richiede certezze sul passato, è stato sostituito da un rito di celebrazione accomodante
Parole, musica, canzoni, libri. Articoli – incluso questo, senza dubbio, non fa eccezione. Il 23 maggio, ogni 23 maggio, Giovanni Falcone è soltanto un eroe. Un comodo strumento per innalzarlo su un piedistallo sacro, farlo sfilare in processione e collocarlo nella teca dei santi laici, ineguagliabile da nessun altro. Politici poco presentabili, compromessi, funzionari con morale incerta e obbedienze dubbie, senza imbarazzo, davanti a folle di giovani obbligati al rito, celebrano una cerimonia che assomiglia a una liturgia.
Le citazioni di Giovanni Falcone non si contano, a volte saccheggiando il suo repertorio di pensieri, senza preoccuparsi di piegarlo a una tesi o al suo opposto
Poco importa se siamo stati tra coloro che, da commentatori ed editorialisti, hanno osteggiato il suo impegno, ostacolato il suo percorso o semplicemente voltato le spalle, isolandolo. Con Falcone, vengono rivestiti di eroismo anche sua moglie Francesca, magistrato, e i tre agenti di scorta Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani, rimasti al suo fianco mentre i sicari prendevano di mira. Tutti eroi affinché possiamo trovare pace e dimenticarli già il 24. Tuttavia, se le parole hanno un significato, considerare concretamente queste persone come vittime del dovere, che hanno agito senza esitazioni e fino in fondo, forse esalta l’adempimento del loro compito e ci costringe a concentrarci su chi avrebbe dovuto fare altrettanto ma ha mancato l’occasione.
Credo fortemente che nella mancanza di azioni, non solo in quelle compiute, ci sia l’impronta della corresponsabilità e della complicità
La mafia ha voluto la strage, come ci hanno spiegato le sentenze. Ma questo è solo un tassello della storia e riguarda il dominio della volontà. Nel regno delle possibilità, delle convenienze, delle compromissioni, la verità scorrazza liberamente. E più che un mistero, è un segreto ancora ben custodito.
La strumentalizzazione politica della retorica associata a Giovanni Falcone comporta pericoli significativi. L’uso distorto del suo eroismo e della sua memoria rischia di offuscare la ricerca della verità e di diluire la responsabilità politica nella strage di Capaci. Non dobbiamo abbassare la guardia, non lasciandoci distrarre dalla necessità di analisi critica e di un impegno concreto per la giustizia e la lotta alla criminalità organizzata.
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