OpenAI: una minaccia per Google? Questo nuovo strumento di Intelligenza Artificiale sta catturando l’attenzione di milioni di utenti. SI tratta di un chatbot basato su un modello linguistico definito GPT-3 (acronimo di Generative Pretained Transformer). La caratteristica di questo motore linguistico riguarda la produzione di testi simili a quelli umani. I contenuti vengono generati attraverso algoritmi di apprendimento automatico. L’utente chiede e chatGPT risponde. E proprio a proposito di questo, il timore è che OpenAI possa sostituire i motori di ricerca che ogni giorno interroghiamo.
Ma chi dice che le risposte fornite da OpenAI siano sempre corrette?
I dati di testo di OpenAI consistono nel reale linguaggio dell’essere umano. Dunque, i testi che vengono prodotti risultano credibili, fluidi e versatili. Gli utenti possono interagire con una macchina in grado di dare risposte su argomenti differenti. ChatGPT può fornire informazioni sulla storia, può scrivere articoli, poesie. Realizza persino delle immagini con il supporto di descrizioni testuali. Il punto però, è che non è possibile conoscere la veridicità di tutte le risposte che il software restituisce.
Per cui, l’intervento umano risulta essere imprescindibile. A conferma del fatto che queste tecnologie sono degli strumenti senz’altro potenti, ma non paragonabili all’azione umana. Se l’utente interroga OpenAI su un tema di cui conosce ben poco, è necessario raccogliere informazioni da altre fonti. L’intelligenza artificiale può fornire un supporto e agevolare nella ricerca e nella elaborazione di alcuni contenuti. Ma non si può sostituire all’uomo.
Certo, anche il motore di ricerca Google non è sempre attendibile. Le informazioni e le fonti vanno sempre attenzionate. L’information overload, ovvero il sovraccarico informativo a cui siamo esposti, può essere fronteggiato solo attraverso il pensiero critico. Tuttavia, è difficile che OpenAI possa rubare la scena a Google.
Il timore della minaccia può placarsi per vari motivi
Innanzitutto perché questo software non ha un indice web come Google. Questo significa che la macchina elabora una risposta per ogni domanda. Non c’è una vasta offerta di contenuti a cui poter attingere. OpenAI è sintetico e troppo rapido rispetto ai motori di ricerca.
Poi, perché i contenuti prodotti non sono accompagnati dalle fonti. Quindi non è possibile conoscere da dove provengono i testi restituiti. Per quanto a volte sia difficile destreggiarsi tra una pletora di dati, Google è pur sempre una “biblioteca virtuale”.
Va da sé che per gestire questa biblioteca digitale sia essenziale saper interpretare e decifrare i testi. Quindi, le persone sono comunque chiamate ad “intervenire” attraverso le proprie abilità cognitive. Però, a differenza di un chatbot GPT, Google mette a disposizione una quantità massiccia di contenuti. Inoltre, chatGPT non è collegato a fonti online. É “pretrained” , cioè caratterizzato da fonti di informazioni statiche. Invece la Search di Google è in tempo reale. Di contro però, non risponde a domande e non elabora i contenuti.
OpenAI non è una minaccia per Google
L’utilizzo di OpenAI deve essere inteso come un’applicazione a cui gli utenti possono far riferimento per uno spunto, una curiosità, un’integrazione. I motori di ricerca e i programmi fondati sull’intelligenza artificiale sono due spazi diversi, ma complementari. Entrambi possono aiutare gli utenti a orientarsi nel mondo dello scibile. Ma non è detto che l’uno escluda l’altro.
La questione probabilmente dovrebbe essere più etica e meno competitiva. Nel senso che il digitale rischia di sostituire del tutto gli esseri umani. Questa è la vera minaccia. Il rischio è quello di accelerare il processo di atrofizzazione cerebrale delle persone. Il cervello non si sforza più di creare, pensare, immaginare, scrivere. Tanto ci pensa l’intelligenza artificiale.
In tal senso, il pensiero di Crepet è puntuale:
“Scompare la reiterazione del <<perché?>>, la vocazione al sapere in quanto trasmissione emotiva e affettiva […] mentre prevale un’asettica relazione con un oggetto che tutto sa, tutto conosce, ma non offre replica, né accrescere la facoltà del dubbio.”
Tutto quanto va a cozzare anche con la centralità che stanno acquisendo le soft skills nel mondo del lavoro
Le competenze trasversali si acquisiscono e si allenano mettendo il cervello in azione. Non c’è comodità tecnologica che tenga. Per essere portatori sani di soft skills, occorre azionare le abilità intellettive. Saper comunicare, saper interpretare dei testi, risolvere un problema, fare una sintesi. Tutte queste capacità non possono essere sostituite dall’AI.
E non perché non sia utile, attenzione. Piuttosto perché le tecnologie dovrebbero essere uno strumento che aiuta, senza sostituire l’agency umano. La creatività, l‘intuizione, l’emotività non sono certo elementi che l’AI può replicare. OpenAI può essere uno strumento utile, a supporto della scrittura di determinati testi. Ma ci deve essere sempre l’impronta dell’essere umano, che rielabora, corregge e che soprattutto prova emozioni.
Emanuela Mostrato
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