Nella storia dell’umanità, ci fu un momento critico, 800.000 anni fa, in cui l’estinzione ci sfiorò. Fra i 900 e gli 800.000 anni fa, la popolazione umana mondiale subì una drammatica contrazione, verosimilmente dovuta a cambiamenti climatici, mettendoci sull’orlo dell’annientamento. In poche parole umanità fu ad un passo dall’estinzione.
La preservazione della specie, per oltre 100.000 anni, dipendeva da un gruppo di appena 1.300 individui in età riproduttiva
Questa sorprendente scoperta è stata frutto di uno studio internazionale pubblicato su Science, in cui hanno collaborato anche La Sapienza Università di Roma e l’Università di Firenze.
Nel corso della nostra storia, la popolazione umana ha attraversato variazioni numeriche significative. I ricercatori hanno sviluppato una metodologia che permette di risalire indietro nel tempo, tracciando il percorso della variabilità genetica umana, fornendo così preziose informazioni sull’andamento della popolazione. Questo strumento ha rivelato che a partire da 930.000 anni fa, in concomitanza con una fase caratterizzata da rilevanti mutamenti climatici, prolungate siccità e la scomparsa di altre specie animali, utilizzate come fonte di cibo dagli esseri umani, si è verificato un “restringimento” drammatico. I ricercatori scrivono che “circa il 98,7% degli antenati umani ha conosciuto la perdita, mettendo a serio rischio l’esistenza dei nostri progenitori.” La popolazione umana è scesa, quindi, a soli 1.280 individui in età fertile, e ci sono voluti circa 117.000 anni prima che la ripresa potesse avere inizio.
Queste rivelazioni aprono nuove prospettive nello studio dell’evoluzione umana
suscitando domande fondamentali riguardo ai luoghi in cui questi individui vivevano, come siano riusciti a sopravvivere alle catastrofiche variazioni climatiche e se la selezione naturale durante il periodo critico abbia accelerato lo sviluppo del cervello umano. Il coordinatore della ricerca, Yi-Hsuan Pan, afferma: “Questa scoperta inaugura un nuovo capitolo nell’evoluzione umana.”
In aggiunta, Giorgio Manzi, professore ordinario presso La Sapienza e uno degli autori dello studio, suggerisce che questo periodo potrebbe spiegare “il vuoto nelle testimonianze fossili africane ed eurasiatiche,” dato che coincide con una significativa mancanza di reperti fossili.
La Redazione
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