Cosa significa pensare in un’epoca che cerca – forsennatamente – solo risposte immediate? Siamo sempre alla ricerca di desideri da soddisfare ora e subito per poi sentirci continuamente insoddisfatti e inappagati. La nostra mente è sempre più abituata a guardare fotografie piuttosto che testi. I testi lunghi annoiano, si fa slalom tra un riga e l’altra per arrivare al nocciolo, per cercare la risposta. E le domande che fine hanno fatto? Nelle scuole, nelle piazze, nei luoghi di lavoro, nelle famiglie, si sta progressivamente abdicando all’atto di fare domande e di pensare. Per paura di sentirsi sbagliati, per noia, disinteresse e per l’eccesso di comodità a cui si è esposti.
Dov’è finita l’inquietudine della curiosità? Dove sono finiti i “perché”?
La sovrabbondanza delle informazioni cui abbiamo facilmente accesso, ha disintegrato il desiderio di ricercare per conoscere e approfondire. Con l’intelligenza artificiale, questo fenomeno si sta acuendo e il rischio è di disabituare la propria mente al pensiero. I motori di ricerca e AI forniscono in modo istantaneo i contenuti ricercati. Rispondono a qualsiasi interrogativo, contengono qualsivoglia notizia, e sapere che sono lì, a portata di clic, è comodo.
“Tutto ciò che è comodo è stupido” afferma provocatoriamente lo psichiatra Paolo Crepet – rivolgendosi ai giovani. Comodo è tutto ciò che non richiede sforzo, né impegno. Leggere, scrivere, interrogarsi, oggi sono pratiche faticose perché il digitale ha sintetizzato il nostro vivere. La connessione permanente ha depotenziato le abilità della mente. In fondo se c’è un cervello artificiale – contenitore inesauribile di informazioni – perché dovrei arrovellarmi, sfogliare pagine e prendere in mano una penna per riempire un foglio bianco?
Per dare alla mente la possibilità di fiorire, di restare allenata, di partorire pensieri innovativi e anti-conformistici.
A proposito di brevità e di assenza di pensiero, Massimo Recalcati osserva:
“Il nostro tempo ha reso il pensiero un tabù? Quello che più conta oggi non è tanto il pensare quanto l’agire. Sembra un’evidenza: non è il pensiero a essere la virtù più celebrata quanto l’agire.”
Purtroppo è così, il pensiero è diventato un tabù, un atto proibito, messo a tacere in nome del “tutto e subito”.
Ne è la prova – osserva lo psicoanalista Umberto Galimberti – il fatto che nella nostra società siamo abituati all’intelligenza simultanea, ovvero quella dominata dalle immagini, mentre l’intelligenza sequenziale, dominata dalla lettura e dalla scrittura, sta tristemente scomparendo. Ed ecco che, in un tempo in cui le immagini prevalgono sulle parole, l’atto del pensare non trova più spazio.
Umberto Galimberti sostiene che i giovani andrebbero sollecitati a porsi domande:
“Quello che è importante non è che i bambini studino filosofia, ma che imparino a filosofare”. Non è un caso che la parola “filosofia” significhi “amore per il sapere”, perché appunto insegna a interrogarsi, ad avere sete di conoscere il mondo al di là del suo significato abituale. Filosofare vuol dire pensare oltre il senso comune, oltre i confini dell’ovvio per andare alla ricerca dell’ignoto.
Le domande, i dubbi, i pensieri, tengono la mente accesa, mentre le risposte la immobilizzano in una dimensione acritica e acefala
Il tempo in cui viviamo sta “uccidendoci il pensiero” – come recita la poesia Chiamami ancora amore di Roberto Vecchioni. Ce lo uccide la società che insegna a ragionare per categorie, per generi, per gruppi. Ce lo uccide chi insegna ai giovani ad essere perfetti e performanti, piuttosto che felici e liberi di scegliere.
Il pensiero muore quando si ha paura di essere giudicati, quando abitiamo luoghi in cui non esiste il confronto, ma solo l’impartizione di regole, l’indottrinamento, l’ascolto passivo.
Viceversa, il pensiero fiorisce nei luoghi in cui si educa alla condivisione delle idee, all’amor proprio, al pensiero critico. Nei luoghi in cui l’essere conta più del fare, e il pensare più dell’agire.
Per quanto il progresso sia inarrestabile e per quanto le tecnologie stiano sostituendo ogni attività umana, la responsabilità di ognuno di noi è quella di non rinunciare al pensiero, alla domanda, allo sguardo curioso sul mondo. Non rinunciare a “farsi carne”, cioè a diventare chi desideriamo essere, senza subire condizionamenti e senza timore di esporre le proprie idee.
Possiamo progredire come persone solo se lasciamo progredire il pensiero, se ci interroghiamo, se andiamo oltre le pratiche di vita quotidiana cercando di cogliere le contraddizioni. Progrediamo quando ci poniamo in una condizione di apertura e di ascolto verso l’Altro e se siamo disposti a metterci in discussione.
Ma in questo tempo che vuol ucciderci il pensiero, riusciremo a sventare la comodità della società iper-moderna in nome della nostra libertà? Oppure il nostro Sé sarà sempre più schiacciato dalla presenza dell’intelligenza artificiale?