Marzo 19, 2024
A ECORANDAGIO ospitiamo e formiamo i giornalisti di domani

Vi piace conversare? Avete storie interessanti da raccontare? Amate vivere i social in modo intelligente? Clubhouse fa per voi. 

Perché ritengo che Clubhouse sia il nuovo, interessantissimo modo di essere social?

In primis, è selettivo. Non è facile accedervi come lo sarebbe per un qualunque altro social.
Per dare vita al vostro account sarà infatti necessario l’invito di un vostro amico GIÀ presente sulla piattaforma. 
Successivamente, avrete a vostra volta 5 inviti da poter elargire a chi desiderate (gli inviti aumenteranno nel partecipare alle stanze, sulle quali darò maggiori informazioni nei prossimi paragrafi). 
E’ necessario, tra l’altro, avere un dispositivo Apple affinché Clubhouse funzioni. E’ vero, si tratta di una restrizione fastidiosa per molti, ma visto il successo che sta ottenendo spero possa essere presto esteso a tutti gli altri sistemi. 

In secundis, Clubhouse ha una caratteristica che a molti potrebbe spaventare, ma che io trovo geniale, soprattutto se – nonostante la timidezza, un po’ come me – avete voglia di far sentire la vostra voce: su Clubhouse si parla. 
Potreste dirmi che gli audio e le chiamate ce li consentono anche altre piattaforme come Whatsapp, Messenger e simili. Ma Clubhouse differisce in qualcosa: nelle stanze create il confronto può includere chiunque. In sintesi, è una piccola finestra sul mondo dal retrogusto di un podcast.
Adesso potrei aprire l’app e parlare con persone portoghesi. Perché no… ci sono! 
Ritengo sia fondamentale poter sentire la voce, piuttosto che leggere nero su bianco un’opinione.

La voce trasmette le nostre emozioni e ci permette di assaporare le risate. Quelle belle, di pancia. Non dei semplici “AHAHAH

Ascoltare una storia di vita vissuta ha, in questo modo, tutt’altro effetto. 

Ancora, ritengo fondamentale la totale assenza di foto, se non quella del profilo (che è comunque facoltativa). 

Clubhouse è un nuovo modo di essere social perché abbatte molti stereotipi. Non è la classica vanity fair, dove è fondamentale mostrare e mostrarsi

Basta una foto, una per farsi riconoscere. Poi si parla, ed è solo una questione di voce. 
Finalmente a comunicare sono solo i cervelli, perché dell’altro si sa poco, se non nulla. 
E così addio alla provenienza, al proprio credo, ai dati anagrafici. Addio a tutto ciò che nella quotidianità rientrerebbe nei “filtri” da applicare per fare conoscenza. 

Molte volte ci capita di lasciar prevalere giudizi superficiali, costruendo delle opinioni del tutto errate riguardo il prossimo. 
Quante volte vi è capitato di non accettare un’amicizia o di non rispondere a un messaggio solo valutando il profilo della persona in questione?
E’ normale. E’ quasi automatico farlo, perché – per quanto in modo tendenzialmente fuorviante – i nostri profili mostrano per davvero qualcosa di noi. Ma solo una piccola, infinitesimale parte, spesso anche decontestualizzata. 
Nella maggior parte dei casi i nostri profili danno poco spazio ai nostri pensieri, a ciò che realmente vorremmo dire. 

Il confronto su Clubhouse, invece, è pressoché illimitato. Troverete stanze in base alle vostre passioni (selezionate al momento dell’iscrizione): questo significa avere la possibilità di imparare nuove cose e acculturarsi senza alzare un dito, restando nelle mura della propria casa, nel pieno rispetto delle restrizioni da seguire.

Un esempio banale, ma efficace: a me fa pensare ai vecchi salotti culturali, a luoghi di incontro super interessanti dove non si sa mai chi si potrebbe conoscere

Personalmente, sono ancora in una fase di sperimentazione. Non ritengo di aver sfruttato al massimo le potenzialità del social, ma la dinamica mi piace moltissimo. 
Noi di EcoRandagio abbiamo una stanza (alla quale non posso non invitarvi cliccando qui!). 
Di solito si sceglie un tema al quale attenersi, ma non sempre vengono poste delle limitazioni. 

Suggerisco l’iscrizione (a chi ha i mezzi, s’intende) a Clubhouse: è un modo per uscire dalla propria comfort zone, conoscere e viaggiare, seppur seduti o stesi nel proprio letto (che è la mia sistemazione preferita). 

Maria Francesca Ruscitto

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