Novembre 5, 2024
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Shareting deriva dall’unione di “share” e “parenting”, ovvero la condivisione online da parte dei genitori di dettagli della vita dei figli . Sarebbero almeno trecento all’anno le foto condivise sui canali social di mamme e papà, a dare l’allarme la società Italiana di Pediatria. Nel 54% dei casi le foto vengono pubblicate su Facebook, 16% instagram e 12% Twitter. Le fasce d’età coinvolte vanno da 0 a 3 anni. Spesso le immagini dei pargoletti sono corredate di nome ed altri dettagli sensibili.

Si stima che prima dei 13 anni i genitori condividano fino a 1.300 fotografie dei propri figli online. Un dato enorme considerando Il pericolo che le foto possano essere intercettate e utilizzate sui siti pedopornografici

Ammettiamolo, la tendenza a condividere è una vera e propria frenesia che si insinua nelle sinapsi di chiunque di noi abbia almeno un canale social. Sentiamo l’irrefrenabile voglia di dare informazioni su cosa stiamo facendo o mangiando. Non riusciamo proprio a trattenerci dal dare l’opinione su quanto appena successo nel mondo, nella politica. All’improvviso diventiamo esperti di moda, politica, beauty, moralisti, attivisti e chi più ne ha più ne metta. Nulla di male, o almeno così dovrebbe essere se ci si limita alla semplice condivisione di un pensiero. Ma non dimentichiamo che dal dare il proprio parere a diventare veri e propri cyberbulli, il passo è breve, è un rischio che corriamo tutti.

Stesso discorso per le foto. E’ risaputo che nel momento in cui viene postata e circola sul web, quella immagine rimarrà lì per sempre. Proviamo a tutelarci con la privacy degli account, ma una traccia di noi resterà comunque. Siamo adulti, sappiamo cosa stiamo facendo e più o meno incoscientemente, corriamo il rischio. Eppure la cronaca è piena di casi di revenge porn e cyberbullismo che riguardano anche gli adulti. E i bambini? Pensiamo che se la foto di nostro figlio la pubblichiamo noi, allora non ci sarà nessun pericolo.

Shareting, allarme pediatri: Troppe foto dei bambini sui social

Purtroppo non basta, la ricerca della società Italiana Pediatria ce lo conferma. E’ una realtà sotto gli occhi di tutti. Proviamo ad andare su instagram. Mentre skrolliamo  i vari reel ne ritroviamo parecchi che riguardano i bambini. Ci sono quelli divertenti, che fanno gesti carini, ma anche quelli che piangono per un capriccio. Se andiamo a leggere i commenti per quest’ultimi: “che brutto”, “insegnagli l’educazione” , “con quei capelli da scemo piangerei anch’io” sono solo alcuni esempi . E’ necessario esporre dei bambini a tutto questo?

Troppe foto dei bambini sui social?

D’accordo magari è carino in quella foto perché ha la faccia buffa, o gli faccio il video perché dice qualcosa di troppo simpatico. Ma a che prezzo? Soprattutto a lungo termine. Dobbiamo tenere sempre presente che una volta trascinato il dito sul post successivo, quell’immagine può cancellarsi dalla nostra mente, ma non sparirà dalla rete,commenti compresi. Ed è così che senza accorgercene, cadiamo nella contraddizione di esporre chi vogliamo a tutti i costi tutelare a dei pericoli.Un giorno il bambino con i capelli “da scemo” sarà un giovane che potrebbe ritrovare la sua immagine usata come meme o peggio.

Dovendo fare i conti col fatto che chi l’ha esposto a tanta “shitstorm” è il suo genitore. Che ha commesso un errore per ingenuità. Perché ha caricato una foto che ha giudicato innocente. Una foto di un’altra persona. Suo figlio, e senza il suo consenso. Per condividere qualcosa con chi conosce e con una marea di sconosciuti, credendo che averlo fatto dal proprio telefono sia sufficiente a tutelarlo. Ne vale la pena?

Paola Aufiero

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