Ottobre 18, 2024
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“30 anni senza Massimo Troisi, il Pulcinella senza maschera” annuncia Rai news. “Massimo Troisi, 30 anni fa moriva il comico dei sentimenti dal cuore fragile” scrive ADN Kronos. Ansa scrive “Massimo Troisi30 anni fa l’addio al Pulcinella senza maschera” e questo sarà il titolo più inflazionato dagli altri giornali. Pulcinella senza maschera, icona della napoletanità, il comico dei sentimenti. Ma siamo sicuri che fosse questo Massimo Troisi? Siamo sicuri che avrebbe apprezzato questi titoli, che fosse questo il cuore del suo lavoro? O forse per comprenderlo dovremmo abbandonare gli stereotipi e parlare di Pasolini, Andrea Pazienza, Nanni Moretti e Dario Fo? Ecco a 30 anni dalla sua scomparsa vorrei scrivervi di un Troisi che, forse, avete conosciuto poco.

Siamo sicuri che Massimo Troisi fosse queste cose?

Vero, Troisi reinventa Pulcinella nel Capitan Fracassa di Ettore Scola e fa riscoprire Napoli a Marcello Mastroianni. Ma ridurlo a icona della napoletanità, di semplificarlo legandolo al suo cuore malato, agli stereotipi e ali luoghi comuni napoletano è fargli torto. Vuol dire non aver compreso la sua anima, i suoi tormenti e le sue contraddizioni. I napoletano sono permalosi quando si parla di Partenope divenendo loro stessi “luoghi comuni”. Alle critiche rispondono spesso in maniera piccata, aggressiva. Troisi no. Demoliva le critiche e i cliché grazie alla sua ironia, usando alla perfezione la risata amara tanto cara a De Filippo. Ecco cosa disse Massimo Troisi, durante una vecchia intervista rilasciata a Pippo Baudo.

“Di Napoli si è detto tutto. Basta vedere come la presentano gli altri. Per esempio a Napoli c’è sempre il sole e non piove mai. Ma non è bello. Io per esempio ho un impermeabile che non ho mai indossato. L’unico modo che ho per farlo è andare a trovare i parenti fuori. Poi c’è la musica. Tutti suonano sempre e camminano per strada con chitarra e mandolino. Cosa pericolosa, soprattutto per i bambini, che rischiano di essere colpiti alla testa. E a Napoli mangiamo solo pizza e spaghetti, infatti abbiamo il fegato rovinato, perché non si può mangiare altro”.

Massimo Troisi tra Pasolini, Andrea Pazienza, Nanni Moretti e Dario Fo

No. Non sono impazzito. Circolano foto di Troisi vestito “alla Pasolini”, più volte l’attore di San Giorgio a Cremano dichiarò che avrebbe voluto la capacità di denuncia dello scrittore bolognese ma il loro unico punto di contatto fu che uno faceva ridere nei cinema borghesi, mentre l’altro diffondeva il disagio nella borghesia. Eppure Massimo era molto politicizzato, solo che i suoi modi e la sua mimica facevano ridere involontariamente, come racconta durante una intervista Lello Arena:

Quando andava alle assemblee studentesche chiedeva sempre la parola perché era uno con delle idee già formate. Con un però: il suo stile, la sua mimica facciale e anche un punto di vista strampalato rispetto all’epoca, provocano ilarità. Quindi esprimeva concetti agguerriti con una platea che rideva sempre. Ne usciva addolorato e ci chiedeva: ‘Ma che vita mi aspetta se la gente ride quando dico cose serie?’.

Per questo citavo Fo. Perché Troisi aveva alla base una forte spinta, un bisogno impellente, di comunicare, di andare oltre la propria timidezza e infrangere la barriera dell’incomunicabilità. E’ distante dalla comicità partenopea. Il su è quasi grammelot, timido e masticato, ciancicato.

Evito di fare satira politica, perché se ti limiti a dire che Andreotti è gobbo e Fanfani è corto, finisci per fare il loro gioco, ti metti la coscienza apposto e aiuti la DC a sembrare più democratica perché ti fa passare le battute.Se un regime ti permette di giocare ci guadagna, però seguivo la comicità sbagliata. Bastava entrare in un teatro e vedere Dario Fo e si capiva che si poteva fare satira, dicendo cose indigeste, con l’unica tassa da pagare di non rientrare nella comicità ufficiale, dove io rientro.
Vorrei raccontare la rabbia, l’indignazione e l’impotenza di vivere in questa società, in questa situazione politica. Vorrei, con il cinema, poter smuovere almeno una coscienza.

Allo stesso modo sarebbe necessario aver fatto capolino nel mondo do Andrea Pazienza, nelle sue storie perennemente mancanti di fiducia che dolorosamente lasciano il posto alla disillusione. Anestetizzando come Penthotal l’inesorabilità della vita. Si comprenderebbe meglio, così, Gaetano, protagonista dell’esordio alla regia di Troisi “Ricomincio da tre”, un confuso anti eroe che lotta contro gli stereotipi, attirato e allo stesso stanco da quella tradizione a cui ogni napoletano appare saldato, ancorato. Condannato. Gaetano non potrà far altro che abbandonarsi, anestetizzato e rassegnato, suo malgrado, a un mondo nuovo segnato dall’emancipazione femminista.

Massimo amava il calcio e amava Nanni Moretti

Troisi raccontò che il suo personaggio preferito nel cinema italiano era Nanni Moretti non solo per le doti artistiche, ma soprattutto perché “si è preso il peso della fama dello stronzo, tutti lo odiano ma intanto può dire sempre quello che vuole”. Eppure accadde qualcosa di inspiegabile o forse no, qualcosa che può accadere solo quando si tratta di “femmine” o di “pallone.

“Una sera a Capocotta, con Nanni Moretti e Massimo, guardavamo in tv i Mondiali dell’82”, dice racconta Marco Messeri. “Nanni sosteneva che bisognava tifare Brasile”

Era l’estate del 1982. Stavamo vedendo Italia-Brasile. A partita iniziata arrivò Moretti e cominciò a dire che tifava Brasile. Che bisognava tifare Brasile. Lo ripeté infinite volte. Finché Troisi non esplose: “Vattinne”.

Massimo lo mandò a quel paese. Nanni sbatté la porta e se ne andò. Fu la fine di un’amicizia. Non si rividero mai più!

Voglio chiudere con un ricordo legato al primo scudetto del Napoli e alla diretta di Gianni Minà in occasione dei festeggiamenti. Comparvero striscioni con la scritta ‘Siete i campioni del Nord Africa’, l’Unità d’Italia non è mai avvenuta» lo interroga il giornalista. E Troisi con una solita smorfia di ironia spiegò che sono cose che chi vince deve lasciarsi scivolare addosso. Poi, la stoccata: «Preferisco essere un campione del Nord Africa piuttosto che mettermi a fare striscioni da Sud Africa».

Giovanni Scafoglio

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