Maggio 2, 2024
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Francesco Schiavone, noto come “Sandokan” e capoclan del clan dei Casalesi, quasi 26 anni dopo il suo arresto è diventato un collaboratore di giustizia. Ha dunque iniziato a parlare con i magistrati della Dda. La sua collaborazione verranno valutati nei prossimi mesi. In cambio del suo “pentimento”, i carabinieri hanno offerto ai suoi familiari un programma di protezione, simile a quello offerto in passato ad altri membri della famiglia che hanno collaborato con la giustizia. Ora, dal punto di vista della comunicazione, trovo assurdo che molti giornali e “addetti ai lavori” continuino a chiamare Francesco Schiavone e chi come lui si accorda per vari motivi con la magistratura, con la parola pentito. E’ un errore grave e pericoloso nel quale è caduta, tra le altre, anche Ansa.

Francesco Schiavone non è pentito. E’ un collaboratore di giustizia

Chiamare Francesco Schiavone “pentito” piuttosto che “collaboratore di giustizia” comporta una serie di rischi comunicativi ed etici significativi.

Rischio di misinterpretazione

L’etichetta “pentito” può indurre in errore riguardo alla natura della collaborazione con la giustizia. Il termine suggerisce un’azione motivata da un senso di rimorso o da una valutazione morale delle proprie azioni passate, piuttosto che una scelta pragmatica basata su un accordo con le autorità giudiziarie che prevede benefici concreti, come sconti di pena o protezione per il collaboratore e la sua famiglia. Questa misinterpretazione può distorcere la percezione pubblica del ruolo e del contributo dei collaboratori di giustizia nell’ambito dell’indagine e della repressione della criminalità organizzata​​.

Stigmatizzazione

L’uso del termine “pentito” può contribuire alla stigmatizzazione degli individui che decidono di collaborare con la giustizia. Questa etichetta porta con sé connotazioni negative che possono influenzare il modo in cui la società percepisce queste persone, rendendo più difficile la loro reintegrazione nella vita civile una volta conclusa la loro collaborazione con la giustizia. La stigmatizzazione può anche avere effetti negativi sul benessere psicologico dei collaboratori e delle loro famiglie​​.

Conflitti etici

La denominazione di “pentito” solleva questioni etiche legate al trattamento e alla percezione dei collaboratori di giustizia. Essa implica una valutazione morale del loro percorso di redenzione, suggerendo che il loro contributo alla lotta contro la criminalità organizzata sia meno valido o meno apprezzabile a causa delle loro azioni passate. Questa prospettiva rischia di oscurare il valore pratico delle informazioni fornite dai collaboratori, essenziali per lo smantellamento delle reti criminali e per la sicurezza pubblica​​.

Impatto sulla collaborazione

La percezione negativa associata al termine “pentito” potrebbe disincentivare altri potenziali collaboratori di giustizia dal venire a patti con le autorità. Se la collaborazione è vista come una debolezza o come un tradimento che porta a un’esistenza stigmatizzata, meno membri delle organizzazioni criminali potrebbero essere disposti a fornire informazioni cruciali per le indagini. Questo rappresenta un ostacolo significativo nella lotta contro la criminalità organizzata, limitando le risorse a disposizione delle autorità per perseguire efficacemente tali organizzazioni

Chiudo con una considerazione in merito dello scrittore Roberto Saviano da anni sotto scorta per il suo romanzo Gomorra che ha al centro della sua narrazione i Casalesi.

“Dopo anni di scorta potrei tornare libero. Ma è davvero una resa?”

«Sono molto preoccupato che questo accada. Che non si farà mai, come non ha fatto Iovine, far trovare i soldi veri della camorra, ma spiccioli. Che non racconterà davvero delle alleanze dell’impresa, ma dettagli. Storie e faide che di fatto sono state svelate. Accadrà questo? È una strategia furba. Temo di sì. Però potrebbe non esserlo, se gestito bene».

Giovanni Scafoglio

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