Aprile 29, 2024
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I talenti ribelli sono personalità anticonvenzionali, eludono la routine e la tradizione per andare alla ricerca dell’innovazione. Preferiscono il Nuovo all’abitudine, il diverso all’uguale. Rifuggono da tutto ciò che è comune e omologante. Contrariamente a ciò che si pensa, essere un talento ribelle non significa creare caos. Anzi, vuol dire generare ordine attraverso un agire critico e lungimirante. Essere un talento ribelle vuol dire sfidare la ripetitività della vita quotidiana e andare alla ricerca di prospettive differenti da quelle abitudinarie. Federica Gino, scienziata comportamentale italo-americana, afferma che a caratterizzare il comportamento ribelle è la difformità costruttiva.

Mettersi in discussione

Essere mossi dalla difformità costruttiva significa mettere in discussione se stessi e i propri punti di vista. Vuol dire esplorare gli aspetti difformi della routine al fine di adottare nuove visioni. È il comportamento di chi non si adagia su ciò che è comune, piuttosto tende ad infrangere le regole. Ma non per creare scompiglio, perché si è determinati nel portare avanti le proprie idee. Pur rispettando le opinioni altrui. Il talento ribelle infatti non vuole prevaricare, anzi. Tende ad ascoltare, ad essere empatico, a capire cosa si cela dietro alcuni pensieri. 

“Non dobbiamo alzare la voce per cercare di avere ragione, ma chiedersi perché l’altra persona ha un’idea diversa dalla nostra, cosa vede che noi non vediamo». Non dobbiamo aspettare gli altri, ma muoverci per primi senza temere di essere giudicati” (Federica Gino).

I talenti ribelli nel mondo del lavoro

Essere un talento ribelle rappresenta un vantaggio non solo nella vita privata, ma anche in quella professionale. Infatti, i lavoratori che riescono a portare l’innovazione all’interno delle aziende, riescono di conseguenza a trasformare la cultura d’impresa. Per mettere in moto dei processi di trasformazione, servono personalità dal carattere forte e temprato. E non è un caso che spesso sono i leader e i responsabili ad introdurre nuovi processi aziendali. 

Anzi, nella direzione verso cui sta andando il mondo del lavoro i talenti ribelli sono un valore aggiunto. Perché oggi i contesti lavorativi necessitano di persone dotate di competenze trasferibili prima ancora che tecniche. Leadership, ascolto, comunicazione, curiosità, flessibilità sono alcune delle transferable skills. E sono qualità e abilità che caratterizzano i talenti ribelli. 

Vediamo nel dettaglio i cinque elementi che secondo Federica Gino caratterizzano il talento ribelle.

Il primo elemento è la Novità, intesa come la ricerca del Nuovo. Poi, c’è la curiosità, ovvero la voglia di conoscere e approfondire. La prospettiva è un altro aspetto fondamentale, in quanto il talento ribelle è alla ricerca di tanti punti di vista. Il quarto aspetto è la diversità, cioè la spinta a voler superare i preconcetti relativi a ruoli e convenzioni sociali. E infine, l’autenticità, qualità che fa del talento ribelle una persona senza filtri e sempre pronta a conoscere l’Altro nella sua interezza. 

“La giusta dose di ribellione comporta l’avere un po’ di ciascuno di questi elementi chiave. È solo così che i ribelli possono cambiare le cose per il meglio, con un approccio che implica rispetto invece che arroganza” (Federica Gino).

Nel mondo del lavoro il talento ribelle è sinonimo di diversità, inclusione, sostenibilità aziendale

Per migliorare il benessere di un’impresa, serve la presenza di professionisti in grado di creare valore nel lungo periodo. E per farlo è necessario adottare approcci strategici, moderni e capaci di sfidare le logiche tradizionali. 

Spesso si tende a pensare che per favorire il cambiamento ci sia bisogno di persone dal carattere sfacciato e presuntuoso. Ma non è così. È sufficiente avere sete di conoscenza, non dare nulla per scontato, porsi continue domande. I talenti ribelli sono gentili, pacati, umili. Non credono di avere la verità in tasca, piuttosto cercano di trasformare ciò che risulta comunemente vero. Provano a scardinare la realtà e si spingono a scorgere gli aspetti che si celano dietro l’ovvio.

Tenelle Porter, psicologa dell’Università della California, ha coniato il termine umiltà intellettuale per indicare l’atteggiamento di rispetto nei confronti della conoscenza. Un’espressione che richiama la massima di Socrate, “Io so di non sapere”. Ed è proprio questa umile consapevolezza intellettiva che spinge il talento ribelle ad essere flessibile e aperto a nuovi orizzonti.

Emanuela Mostrato

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