Ottobre 8, 2024
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Chi sono i giovani Hikikomori? Hikikomori è un termine giapponese che significa “stare in disparte”. Viene utilizzato per indicare i giovani che si allontanano dalla vita sociale per un periodo prolungato. Gli hikikomori in Italia sono oltre un milione e hanno tra i 14 e i 30 anni. Questa condizione di isolamento dal mondo esterno si palesa soprattutto negli adolescenti. Chi ne è colpito prova un sentimento di rifiuto nei riguardi della vita sociale, scolastica e lavorativa. Infatti, i giovani hikikomori faticano a instaurare relazioni, preferiscono stare in casa tutto il giorno, passare ore davanti ad uno schermo, piuttosto che uscire e fare nuove esperienze.

Come si innesca questo stato di isolamento sociale?

Solitamente, questa condizione di volontaria emarginazione è una reazione alle pressioni sociali a cui sottopone la società post-moderna. I giovani hikikomori sentono il peso delle aspettative di una società che punta tutto sulla performance e sul raggiungimento di obiettivi. Provano rifiuto verso le imposizioni di una vita che si scandisce secondo una logica lineare del tempo. Diplomarsi, iscriversi all’università, trovare un’occupazione, sposarsi, fare dei figli. 

Tutte tappe cariche di desideri di realizzazione che spesso appartengono a terzi e non a sé stessi.

Le pressioni che il vivere sociale riflette sui ragazzi si traducono tavolta in uno stato di apatia. Gli hikikomori, infatti, si trovano a vivere in conflitto tra la realtà e il mondo delle aspettative dei genitori, degli amici, conoscenti e insegnanti. Non riuscendo ad imporre la loro volontà, i loro desideri, si rifugiano in una dimensione di abulia. Ovvero agiscono senza consapevolezza e senza motivazione. 

Questo atteggiamento incide inevitabilmente sulle normali attività quotidiane. Uscire, interagire, coltivare un hobby, rappresentano azioni inesistenti per gli hikikomori. La mancanza di interesse invade ogni sfera della loro vita. Tranne quella relativa al mondo digitale. Infatti, concentrano gran parte del loro tempo nell’utilizzo di Internet. Attraverso la Rete riescono a instaurare contatti.  Ma di certo questo non rende la loro condizione meno preoccupante.

Anzi, un hikikomori percepisce lo spazio virtuale come l’unico possibile. 

A tal proposito, in Giappone – territorio in cui si diffonde questo fenomeno – esistono gli “estrattori degli hikikomori”. Quest’ultimi hanno il compito di portare fuori dalla zona di comfort i ragazzi che versano in una condizione di persistente isolamento. Specie se non ne vogliono sapere nulla di cambiare le loro abitudini.

Infatti, non sempre gli hikikomori decidono volontariamente di andare in un centro di recupero. In alcuni casi occorre l’intervento di “facilitatori” che fanno in modo di convincere i ragazzi a farsi aiutare.

In Italia però, non vi sono ancora strutture che si occupano di questa problematica giovanile. 

Come aiutare un giovane hikikomori?

Aiutare un giovane hikikomori significa innanzitutto avvicinarsi a lui in modo delicato e mostrare comprensione per il loro stato di sofferenza. Non serve rivolgersi con aggressività, perché si finisce solo per erigere altre barriere. Questi ragazzi arrivano a vivere in questa condizione di rifiuto sociale perché vogliono allontanarsi dal senso di inadeguatezza che li attanaglia. Per cui, bisogna farli sentire a loro agio e non sbagliati.

L’hikikomori avverte come un macigno la competizione sociale

Dunque è fondamentale trattarlo alla pari e sospendere qualsivoglia giudizio o accusa. Con le giuste modalità di comunicazione, l’hikikomori può pian piano decidere di cambiare il suo stato di rifiuto sociale e cercare i primi contatti con l’esterno. Però, se la situazione è complessa e se non si hanno gli strumenti per instaurare un confronto, bisognerebbe rivolgersi ad uno specialista.

Purtroppo i casi di hikikomori sono in aumento in Italia. Uno studio condotto dall’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa, ha rilevato che sono più di 50mila gli adolescenti nel nostro Paese che vivono in una condizione di isolamento. 

L’età più a rischio è quella tra i 15 e 17 anni. 

Questo fenomeno spaventa, perché vede coinvolte le nuove generazioni, quelle che devono costruire le basi per il loro futuro. Parliamo di adolescenti e giovani che dovrebbero vivere con slancio e spensieratezza la loro giovane età. Che dovrebbero nutrirsi di sogni e passioni, senza la paura di sentirsi giudicati. Senza l’ansia di non essere abbastanza.

Probabilmente, la “colpa” di questo fenomeno è da ricercare nelle istituzioni educative. La famiglia e la scuola svolgono un ruolo centrale nella costruzione del dei ragazzi. E se questo Sè è così fragile e distaccato dalla realtà, significa che nei processi di educazione e socializzazione qualcosa è andato storto.

Emanuela Mostrato

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