Ho questo ricordo di David Bowie: backstage del suo concerto al Neapolis Rock Festival, è il 1997. Lo vedo, mi emoziono, lui, bellissimo ed etereo, bianco, praticamente ci “attraversa” come se noi fossimo inesistenti, come se noi comuni mortali, lontani dalla platea ai piedi di un palco, neanche fossimo visibili ai suoi occhi. Poi, Lui, nobile non di nascita ma per nobiltà di vita, ultimo della sua dinastia con qualcosa ancora da raccontare, comparve d’incanto sul palco, presentando “Earthling”.
Fu per me folgorazione, elettronica, chitarre distorte, duca, meraviglia, bellezza, volgarità e ignoranza, stile e dissolutezza; Eccolo, contemporaneamente genio e musa, icona e fonte d’ispirazione. La dimostrazione fatta carne che la contraddizione e l’incoerenza appartengono agli Dei e alla vita. Credo sia stato l’unico artista rock che abbia fatto alla musica quello che i grandi chef fanno in cucina: ha destrutturato il concetto stesso di rock, rendendolo liquido e irriconoscibile eppure sempre dannatamente solido, indimenticabile, unico.
David Bowie, un diavolo, che è riuscito persino a mettere in musica e arte la sua morte pianificando tutto, da duca bianco a stella oscura, nera: Blackstar.
Giovanni Scafoglio
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