Luglio 27, 2024
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Che la Generazione Z rivendichi sempre più flessibilità al lavoro è un dato evidente: ne parlano i referenti aziendali, i responsabili delle Risorse Umane, le ricerche sulle trasformazioni del mondo del lavoro. Da un ricerca Gallup emerge che in Italia, solo il 5% dei dipendenti lavora con coinvolgimento. Le motivazioni sono da riscontrare nella presenza di imprese che non contribuiscono al benessere delle persone. Contesti da cui i giovani si sottraggono per non rinunciare alla propria felicità. Eppure, gli stessi giovani si sentono etichettati come pigri e disinteressati, ragion per cui Boomers, Gen X, Millennials e Gen Z al lavoro faticano a coesistere.

Secondo un’indagine Linkedin il 32% dei giovani non si sente capito e il 53% dice di sentirsi giudicato dai colleghi più grandi

I giovani della Gen Z sentendosi giudicati e incompresi rispetto al modo in cui concepiscono il lavoro, preferiscono evitare il confronto con i colleghi più senior. E così, quando le condizioni di lavoro diventano stressanti e insostenibili cambiano occupazione. Non è un caso che dallo studio Linkedin sia emerso che la Gen Z tende a cambiare lavoro con più frequenza rispetto ai Millennials. 

Sempre dallo stesso studio, si è evinto che il 78% dei giovani dà valore alla comunicazione intergenerazionale. Il problema però è che, lo scambio intergenerazionale non sempre è favorito nei contesti aziendali. Così come non sempre si favorisce l’ascolto, la piena espressione del Sé, l’esigenza di conciliare vita professionale e vita privata. E quando si palesano simili criticità, i più giovani scelgono consapevolmente di rivolgere lo sguardo verso un altrove che non sia obsoleto, né distante dai loro valori e ideali.

Aborrano essere definiti svogliati, perché non lo sono affatto. Piuttosto desiderano distaccarsi dalla logica dell’iper-produttività e dalla cultura della performance. Chiedono autenticità, fiducia, salute mentale. Paolo Iacci, docente di Gestione delle risorse umane, nel suo libro “Smetto quando voglio” afferma: 

“Il lavoro come tale non è più l’elemento centrale. Oggi il focus è sul binomio vita-lavoro. I temi dell’occupazione, della stabilità e della giusta remunerazione rimangono, ma sono integrati dalla necessità di poter agire un lavoro che possa avere un suo significato intrinseco. Assistiamo a un’urgenza di senso per ciò che riguarda l’esperienza lavorativa”.

Questa urgenza di senso, si declina in un cambio di paradigma che – come osserva Paolo Iacci – va «dal lavoratore alla persona». Nel senso che non esiste unicamente il soggetto lavoratore con i suoi impegni inderogabili e le scadenze. Esiste la persona con le sue priorità, i suoi desideri, la sua voglia di vivere il lavoro come un’esperienza che aggiunge vita e non toglie tempo.

E allora, piuttosto che parlare di pigrizia, parlerei di desiderio di rallentare per ritrovare più tempo (downshifting). Rallentare non significa non dare valore al lavoro, ma fare in modo che non diventi valore assoluto. 

I giovani della Gen Z chiedono di lavorare meno non perché non ne abbiano voglia. Al contrario: hanno tanta voglia di dare un senso al lavoro, di sentirsi gratificati e pronti a disperdere le loro energie all’interno di un’organizzazione che sappia coinvolgere e valorizzare i propri dipendenti. Oggi infatti, le aziende di successo sono quelle in cui torreggia il benessere e la felicità dei lavoratori. Certo, il business e il fatturato sono aspetti importanti, ma non possono più essere gli unici driver. 

Il trend “Lazy Girl Job

A proposito di nuovi paradigmi del lavoro, su TikTok si afferma il trend #lazygirljob letteralmente “lavori per ragazze pigre”. L’espressione è stata coniata dalla Tiktoker Gabrielle Judge che qualche anno fa ha lasciato la sua occupazione in un’azienda IT per diventare un’influencer. L’aggettivo “lazy” però è fuorviante, poiché in molti interpretano questo trend come il sintomo di una generazione che non ha voglia di lavorare.

Ma è evidente che parlare di pigrizia sia riduzionistico: significa negare lo scenario sociale e culturale degli ultimi quattro anni, vuol dire essere mossi dal pregiudizio e ignorare i cambiamenti avvenuti e quelli ancora in atto.

È pigro e miope chi non interpreta il mutamento, chi non comprende che i giovani non vogliono soccombere a causa del lavoro e non vogliono restare in silenzio davanti a culture aziendali tossiche.

Anche i Millennials sono alla ricerca di flessibilità e di luoghi di lavoro umanamente ed eticamente sani. Però, a differenza dei Gen Z, i Millennials sono stati educati a credere che con la perseveranza si raggiunge qualsiasi obiettivo. Sono figli di padri e madri che – come spiega bene Stefania Andreoli nel libro Perfetti o felici – alimentano la propaganda della riuscita e del successo. Figli di famiglie in cui rimbomba sovente l’idea che bisogna ringraziare il cielo per avere un impiego.

I Gen Z, invece, non hanno mezzi termini, non sono disposti a cedere ai “ricatti morali”, né a rinunciare alla loro libertà per raggiungere il miglior risultato possibile. Infatti, da una ricerca di Deloitte “Global 2023 Gen Z and Millennials Survey” è emerso che i giovani della generazione Z sono meno stressati e meno ansiosi dei Millennials.

Promuovere lo scambio intergenerazionale sul luogo di lavoro

È chiaro che ogni generazione rifletta lo scenario sociale e culturale in cui vive, ma questo non significa prendere le distanze gli uni dagli altri. Anzi, per comprendere il cambiamento è necessario azionare il dialogo intergenerazionale. Bisogna parlare per capire le cause che sottendono certi comportamenti. serve svestirsi dei pregiudizi e consentire ai testimoni delle varie generazioni di raccontare la propria storia.

In tal senso, le organizzazioni dovrebbero favorire lo scambio tra generazioni diverse e provare ad azzerare le distanze tra Boomers, Gen X, Y e Z, affinché  nessuno si senta incompreso ed escluso dalle dinamiche del lavoro.

Ognuno con la propria esperienza e con le proprie visioni può insegnare qualcosa all’Altro

Occorre però che le aziende si attrezzino affinché avvenga uno scambio virtuoso e inclusivo tra Boomers, Gen X, Millennials e Gen Z al lavoro. Serve predisporsi all’ascolto e alla comprensione, disfarsi di stereotipi e giudizi. Altrimenti i più giovani continueranno a non sentirsi compresi e i più grandi continueranno a restare arroccati nelle loro convinzioni. 

Emanuela Mostrato

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