Altra assoluzione shock dal tribunale di Roma. Dopo la discussa assoluzione al bidello, denunciato da una studentessa minorenne per palpeggiamenti ( giudicati troppo brevi per costituire reato). Questa volta è toccato ad una ragazza vittima del suo datore di lavoro. Non solo è stata ignorata nel suo disagio, ma addirittura additata come “complessata” dallo stesso collegio presieduto dalla stessa giudice, coinvolti nella sentenza contro il bidello. La ragazza ha riferito in procura le persecuzioni subite dal datore di lavoro sin dall’inizio , nel 2021. Ha portato in tribunale numerose prove contro il suo carnefice. Dai palpeggiamenti sui fianchi, alle mani che sfiorano il seno ripetutamente, dal tirarle i capelli per annusarli. Morsi sulle guance e sulle orecchie, fino ad infilarle la lingua nella bocca. In un primo momento alcune colleghe della vittima si sono presentate come testimoni a favore della ragazza, per poi ritrattare in sede dibattimentale.
Stando ai loro racconti, il datore di lavoro è un po’ eccessivo, ma in fin dei conti un giocherellone.
Il vero problema è la vittima, troppo grassa e complessata del suo aspetto, tanto da sentirsi spaesata dalle goliardiche attenzioni del capo buontempone, e di conseguenza l’ha scambiato per un molestatore.
Ciò che rende triste e grottesca la vicenda è che il tribunale ha dato ragione al carnefice con un’assoluzione shock. La ragazza è grassa, è complessata, evidentemente non è abituata a ricevere attenzioni, di conseguenza, si è sognata tutto. Ci manca solo che nelle motivazioni finali ci scrivano che deve ringraziare che qualcuno ha pensato di palpeggiarle il sedere.
Ancora più sconcertante è che la sentenza è stata emessa da un Tribunale presieduto da una donna.
Vergognoso come si possa etichettare “giocherellone” un uomo che assale una dipendente prendendola a morsi e strofinandosi sul suo seno. Aggiungo che è schifoso il clima di terrore che si crea a volte sugli ambienti di lavoro, che portano ad una connivenza e omertà tale che dei colleghi facciano il vuoto attorno a chi denuncia.
Schifoso all’ennesima potenza che un tribunale possa permettersi di trovare come vizio di forma l’aspetto fisico della vittima, assolvendo il suo carnefice, e di conseguenza giustificandolo nel suo gesto criminale.
Paola Aufiero
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