Ottobre 8, 2024
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“Evviva l’umiliazione, che è un fattore fondamentale nella crescita e nella costruzione della personalità.” Queste sono le parole del ministro dell’Istruzione e del merito, Giuseppe Valditara, che nei giorni scorsi hanno causato non poche polemiche. Il ministro ha subito fatto un passo indietro. Ma come poteva fare altrimenti? Davanti alle parole del ministro l’opposizione si è scagliata severamente, accusandolo di avere un atteggiamento “repressivo ed ideologico”. Ma è fondamentale che si sappia che, in realtà, l’umiliazione non centra nulla con l’educazione.

L’umiliazione non ha nulla a che fare con la crescita. È solamente un dolore, una ferita, una vergogna.

Il ministro ha, inoltre, parlato di lavori socialmente utili per i ragazzi indisciplinati, per i bulli, per i violenti. Asserendo, poi, che solamente attraverso l’umiliazione si prende la responsabilità dei propri atti e che da li nasce il riscatto. Il ministro, successivamente, fa marcia indietro e chiede scusa per aver usato un termine per lui “non adeguato”:

In questi casi, ero e rimango pienamente convinto che realizzare il proprio errore, imparare l’umiltà di chiedere scusa, affrontare il senso del limite e della responsabilità delle proprie azioni, sia un passaggio denso di significato formativo e culturale. Ammettere i propri errori significa realizzare che la realtà è più grande del proprio Io. È un tema di cui talmente avverto l’urgenza, da persona prima che da ministro, che al momento mi ha fatto utilizzare un termine sicuramente inadeguato, cosa di cui mi dispiaccio io per primo”.

Giusepper Valditara

Sappiamo benissimo tutti però… che l’umiliazione è una cosa ben diversa dall’umiltà. In questo caso dall “umiltà di chiedere scusa”.

Ma era davvero questa l’intenzione del ministro? Perché in due volte dice due cose ben diverse… e le opzioni sono due. La prima, non sa fare bene il suo lavoro, poiché si sa, un politico deve avere ottime doti comunicative e sapere comunicare al meglio ciò che vuole esprimere. La seconda, che si è salvato in extremis. D’altronde… che cosa poteva rispondere successivamente alle polemiche da lui stesso scatenate?

Devo dire che, purtroppo, in molte esperienze scolastiche (sia personali che di conoscenti) rivedo molto il metodo appena pronunciato da Valditara. Insegnanti che, quasi, provano piacere ad umiliare i ragazzi e a sminuirli. Perché umiliare vuol dire proprio questo. E non centra assolutamente nulla con l’ammettere i propri errori.

Quante volte siamo tornati a casa quasi in lacrime perché un professore ci ha umiliati davanti a tutta la classe.

E ad un età in cui si è estremamente fragili… si arriva a pensare, alla fine, che è il professore ad avere ragione. E questa è la cosa peggiore. Perché l’essere umiliato da una persona che consideri un maestro, un educatore, un tutore… ti crea una ferita ancora più grande e permanente di quella che potrebbe causare un’umiliazione da parte di un amico, ad esempio.

Eraldo Affinati, finalista più volte del premio Strega e professore di liceo oramai da molti anni ha criticato duramente le parole del ministro Valditara.

” I più fragili non vanno mai umiliati, mai messi con le spalle al muro ma responsabilizzati. La scuola non è un tribunale ”.

Eraldo Affinati

Affinati aggiunge anche che l’umiliazione nei confronti di un alunno rappresenta una vera e propria sconfitta da parte di un’insegnante. Vuol dire che l’educatore ha mandato fuori strada il suo discepolo. È fondamentale che nessuno venga escluso… anche i bulli (i quali sono, paradossalmente, i più fragili). E per non escluderli bisogna essere capaci di fare un lavoro in più, e di andare oltre agli spazi istituzionali. “Tutte le volte che l ho fatto e mi sono messo in gioco, è servito.” Spiega Affinati.

Conclude dicendo che ogni bravo docente da sempre una seconda possibilità all alunno, non lo metterebbe mai con le spalle al muro davanti ad un’errore.

Non tutti reagiamo allo stesso modo davanti ad una avversità o ad un giudizio. Chi è più fragile potrebbe anche sprofondare ancora di più. La punizione non giova a nessuno. E molti educatori si sono resi conto di questo nel corso degli anni, per questo hanno lasciato, pressoché, perdere questa impostazione. Perché la punizione ha al suo interno la vendetta. E si sa che la vendetta è un qualcosa fine a se stesso che, alla fine, non porta a nulla. E se un istruttore si comporta in questo modo finirà per avere studenti che se ne vanno. Ed è probabile che lui ci rimanga peggio di loro. Perché avrà fallito in quello che era destinato a fare. Invece, se vede che restano o ritornano, non ci sarà soddisfazione più grande.

Un’altra questione importante riguarda il merito. Il 21 ottobre è venuto fuori che il centrodestra ha cambiato il nome del ministero dell’ Istruzione aggiungendo una “M” di merito. Anche questo ha fatto scatenare parecchie polemiche, soprattutto da parte dell’opposizione che ha affermato: “il contrario di una scuola pubblica e democratica che deve accogliere e includere, non selezionare.”

Quindi… è davvero giusto parlare di merito? O è giusto dare al merito tutta questa importanza?

Le tesi meritocratiche fondano su tre principi: 1) carriere aperte ai talenti; 2) uguaglianza delle opportunità; 3) i posti e le posizioni devono essere assegnati a chi li merita, sulla base dello competenze possedute. È chiaro a tutti, quindi, che un medico venga scelto per le sue competenze e non perché proviene da una condizione privilegiata, ad esempio. La scuola deve, quindi, essere uno strumento che garantisce le opportunità a tutti. Però, per motivare allo studio e all’impegno è necessario fare in modo che gli studenti colleghino i loro sforzi e i loro risultati a un riconoscimento esplicito ed equo. E, qui nasce il merito. Per questo, anche i traguardi raggiunti più lentamente sono un merito. Ed è sicuramente qualcosa di se stessi di cui andare fieri perché si riconosce il valore dell’impegno.

Quindi, la scuola deve perseguire il merito o l’inclusione? Il problema sta proprio nella “o” disgiuntiva. Questi due concetti devono essere considerati un’insieme. Ogni allievo ha il suo percorso formativo personale e ognuno raggiungerà risultati e competenze diverse, con tempi, atteggiamenti, modalità e motivazioni diverse. Il merito, quindi, aiuta anche ad assumersi le proprie responsabilità. Ma, a mio avviso, viene data troppa importanza a questo concetto… a volte storpiando inappropriatamente anche il significato. Il sociologo e psichiatra Crepet si è espresso contro le polemiche riguardo al “merito”, dicendo che per lui è fondamentale, poiché è il motore che spinge a migliorarsi.

E su questo non c’è dubbio. Il merito può essere sì un motore che spinge a migliorarsi sempre di più, ma non bisogna, a mio avviso, guardare a questo come fine. Uno studente (o qualsiasi persona) deve semplicemente sentirsi libero di fare ciò che più lo appassiona, senza avere nulla in cambio.

Una persona dovrebbe fare qualcosa non per raggiungere un fine… ma semplicemente per il piacere di farla.

Non sarebbe più giusto così? Ed è qui che evidenzio uno dei problemi più grandi del sistema scolastico (e non i cellulari come fonte di distrazione…) e cioè: la mancanza di un percorso circa la ricerca sulle passioni personali dello studente. La scuola dovrebbe concentrarsi più su questo aspetto (fondamentale, oserei dire) piuttosto che solo e unicamente sul merito.

Alla fine, è meglio vedere una persona contenta di quello che fa (come il lavoro, ad esempio)? Oppure vedere una persona anche meritevolissima che sgobba e si ammazza di lavoro… ma infelice? Pensiamoci.

Alexa Panno

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