Ottobre 8, 2024
A ECORANDAGIO ospitiamo e formiamo i giornalisti di domani

“Un animale come l’elefante va cacciato in un certo modo: l’ho seguito per otto giorni, dormendo all’agghiaccio, dove capita. Prima di sparare devi avvicinarti almeno a 15 metri, devi sentirne l’odore per essere sicuro che il colpo vada a buon fine. Dritto in testa, è l’unico modo per non farlo soffrire. Dietro un’azione così violenta c’è un mondo di passione e di poesia. Quando ho visto l’elefante a terra, morto, ho pianto di dolore e commozione. Ci penso ancora»

Luca Borghelli è portavoce del consiglio direttivo del Safari Club International, che conta ben 50mila membri provenienti da tutto il mondo. Nell’estratto dell’intervista per Africa Rivista, Borghelli racconta della caccia al trofeo. Una caccia sportiva, per molti discutibile, incentivata anche dall’Unione Europea, secondo importatore al mondo dopo gli Stati Uniti.

Nelle sue parole si percepisce una consapevolezza, una parvenza di responsabilità:

“Dietro l’azione di caccia c’è l’esatta conoscenza dell’animale, delle aree in cui ti trovi. L’atto finale, quello di uccidere, non è il fondamentale. Provo sgomento nell’attimo in cui schiaccio il grilletto, perché dare la morte è sempre un’azione disdicevole, per certi versi. Però è l’idea, non tanto del possesso, ma di entrare in connessione con l’animale, forse anche in maniera errata, portandotelo via, è questo che mi spinge a sparare”.

Attività lecita o pratica immorale?

Il Safari Club International è una delle tante organizzazioni che vendono esperienze venatorie in Africa, promuovendole in fiere ed eventi internazionali come la Jagd&Hund a Dortmund, in Germania, che contava oltre 80 espositori provenienti da tutto il mondo. I pacchetti offerti ai cacciatori di trofei comprendono vitto e alloggio, trasporti, servizi di caccia e scuoiatura. Si tratta di battute di caccia legalizzate in diverse aree del mondo e regolamentate da leggi internazionali. Una pratica ben differente dal bracconaggio che ogni anno causa la morte di migliaia di animali.

La Humane Society International, che dal 1991 si occupa della protezione degli animali, dimostra però che le importazioni legali in Europa dei trofei di caccia sono aumentate del 40% tra il 2014 e il 2018. In soli cinque anni l’UE ha importato circa 15.000 trofei di 73 specie di mammiferi  differenti, comprese specie minacciate di estinzione, come l’elefante africano, il babbuino nero o il rinoceronte.

La caccia al trofeo è un tema controverso, che provoca non poca indignazione e polemiche

Migliaia di animali selvatici sono predati da cacciatori facoltosi, che pagano ingenti somme per battute di caccia in riserve destinate allo scopo. Il costo dell’esperienza varia in base all’animale che si vuole cacciare, la cosiddetta trophy fee. In terra africana, ad esempio, antilopi e zebre sono economici, si trovano facilmente. Gli animali in via di estinzione, invece, vanno prenotati con largo anticipo, perché protetti dalla Convenzione sul Commercio internazionale di specie di fauna e flora selvatiche (CITES) che stabilisce quali e quanti animali protetti possano essere abbattuti in una determinata area.

Il servizio offre anche la scuoiata, l’imballaggio e l’importazione. Lo scopo? Esibire il trofeo, memoria dell’impresa compiuta. In conclusione, in base all’animale, all’area geografica e i servizi aggiuntivi, il prezzo per uccidere varia dai 20.000 ai 70.000 dollari.

Una pratica puramente commerciale, non diversa da quando è nata, a seguito della colonizzazione europea nel XIX secolo di Africa, America e Asia. Un passatempo crudele per ricche élite, che si trascina dietro conseguenze disastrose: “La caccia al trofeo è immorale, crudele e dannosa”, afferma la Humane Society International, “mina gli sforzi internazionali per proteggere le specie in pericolo, aumenta la domanda di parti e prodotti animali e rivela un’ipocrisia nell’etica della caccia sportiva troppo spesso pubblicizzata come sostenibile”

Un’industria spietata che premia per l’uccisione delle specie più rare o dalle dimensioni più grandi

Il Safari Club International, ha un “libro dei record”, con oltre 50 premi per i suoi soci. Come l’European 12 che si ottiene conl’uccisione di almeno 12 specie di animali selvatici europei, tra cui il bisonte, il lupo grigio, l’orso bruno, il camoscio alpino e la lista prosegue. Mettere dei premi in palio incoraggia i membri delle associazioni sportive a competere tra loro e di conseguenza ad uccide più animali.

Ogni anno in Sudafrica sono allevati centinaia di leoni in cattività, usati da cuccioli per giocare con i turisti, mentre da adulti, rilasciati nell’area di caccia, sono preda di cacciatori e uccisi.Canned lion hunting”, viene chiamata così, la caccia al leone in scatola. Una caccia semplice, perché un leone domesticato è più facile da attirare con le esche. Semplicemente si fida dell’uomo che fino ad un’istante prima glia ha porto la mano per accarezzarlo. In Sud Africa si stimano circa 15.000 felini tenuti in cattività, chiusi nei recinti delle oltre 250 strutture che li allevano. Nonostante questa caccia non sembri essere etica, è regolamentata e genere enormi profitti per il paese.

Le organizzazioni venatorie non si piegano alle accuse degli animalisti, rincarano sottolineando l’interessante risvolto della caccia al trofeo sull’economia dei Paesi in cui è praticata. Il business, infatti, finanzia i governi per le attività contro il bracconaggio, oltre a produrre numerosi posti di lavoro nelle riserve. Sostengono, inoltre, che la caccia al trofeo tutela la biodiversità, dato che le riserve proteggono vasti territori incontaminati grazie a importanti investimenti. L’ambiente e la fauna sono considerati una risorsa economica, se non la principale in alcuni dei paese più poveri.

L’attività venatoria regolamentata porta davvero dei vantaggi nei Paesi in cui viene praticata?

Il WWF riconosce la caccia ai trofei come possibile strumento di conservazione della fauna selvatica, ma “solo nel quadro di una strategia globale, soggetta a regole e criteri rigorosi, all’interno di un contesto limitato e controllato, insieme ad altre misure definite”.

Un chiaro esempio lo abbiamo a metà degli anni ’90 in Namibia. Le popolazioni di animali selvatici avevano raggiunto numeri irrisori. Il governo introdusse una tipologia di caccia strettamente regolamentata e affidò alle comunità locali la responsabilità della salvaguardia della fauna selvatica. Oggi in Namibia vivono oltre 1800 rinoceronti neri e il numero di altri animali selvatici è in crescita. Inoltre la caccia fornisce reddito a più di 220.000 persone.

Il WWF, in collaborazione con l’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura (IUCN), ha sviluppato la propria posizione globale sulla caccia ai trofei e nel relativo documento di posizione, ha definito dei criteri etici, sottolineando che “l’eventuale contributo della caccia ai trofei per la conservazione della fauna selvatica deve essere valutato e deciso caso per caso”.

La associazioni animaliste sono alla ricerca di approcci alternativi che non prevedano la caccia per la conservazione della specie

Secondo la Human Society International “il presunto valore economico e occupazionale generato dalla caccia è solo un pretesto. Il turismo di osservazione della fauna selvatica garantisce più introiti e occupazione”. Un cacciatore può pagare anche 70.000 dollari per uccidere un elefante maschio, ma lo stesso esemplare, con il turismo fotografico, può arrivare a fruttare in tutto l’arco della sua vita fino a 1,6 milioni di dollari.

Mettere un freno a pratiche che sterminano le fauna, per preservare la fragile biodiversità del nostro mondo, è necessario per una approccio responsabile alla natura.

L’uomo necessiterà sempre di continue occupazioni per sentirsi vivo, e l’occupazione da sempre più amata da tutte le classi sociali è proprio la caccia. Il fascino di questa pratica ancestrale è presto svelato: lo scontro primordiale, l’eccitazione che precede l’atto di uccidere, è la specie umana che primeggia sulla natura stessa.

“L’uomo moderno a differenza del passato sembra provare un’autentica nostalgia della foresta […] e del misurarsi con la bestia” scrive Ortega nel libro Filosofia della caccia. Cacciare non è soltanto un atto di arbitraria violenza di specie, ma una celebrazione degli istinti più viscerali. Eppure il cacciatore moderno è diventato quasi un “persecutore”, dimenticando la ragione stessa della caccia, trasformandola in un mercato di souvenir.

Joyce Donnarumma

Leggi anche

Show Full Content
Previous Dieci canzoni per il 25 aprile che non sono Bella Ciao
Next Meloni capolista ovunque ma non a Bruxelles: le cattive abitudini italiane alle Elezioni Europee
Close

NEXT STORY

Close

Librerie riaprono ricordando Sepulveda il 4 maggio

Maggio 2, 2020
Close