Marzo 19, 2024
A ECORANDAGIO ospitiamo e formiamo i giornalisti di domani

Quanto accaduto a Forum giorni fa è stato ampiamente discusso sui vari social e le parole della giornalista e conduttrice Barbara Palombelli sono state riportate in moltissimi articoli. 
Noi di EcoRandagio abbiamo ricercato un approccio alternativo alla questione (ancora una volta la piattaforma utilizzata è stata Clubhouse, ecco il link per Storie Randagie), considerando sia aspetti deontologici (quindi connessi alla professione del giornalista) che linguistici. 
Le risposte che verranno date alle seguenti domande saranno anche antitetiche tra loro, per far sì che l’articolo possa essere un valido spunto di riflessione critica. 

Quand’è che una comunicazione sbagliata diventa tossica? Perché le parole di Barbara Palombelli hanno generato una così ampia condanna? Esistono domande NON lecite per un giornalista? Cosa vogliamo dai giornalisti e dai media? 

Vi consiglio, prima di approcciare questa lettura e qualora non l’aveste fatto, di usare questo link per poter ascoltare e contestualizzare l’accaduto. 

“Come sapete, negli ultimi sette giorni ci sono stati sette delitti, sette donne uccise presumibilmente da sette uomini. A volte è lecito domandarsi se questi uomini erano completamente fuori di testa oppure c’è stato un comportamento esasperante, aggressivo, anche dall’altra parte. È una domanda, dobbiamo farcela per forza perché in questa sede, in un tribunale, dobbiamo esaminare tutte le ipotesi”. 

Raff Cutolo, ricercatore linguistico, ha affermato che “le scelte lessicali della Palombelli sono state sicuramente agghiaccianti, ma ciò che è ancora più infelice riguarda quei fatti che in linguistica si chiamano soprasegmentali, ossia che non sono detti o scritti ma che ascoltando si percepiscono.

Lei usa una disgiuntiva; il suo oppure ha un’intonazione ascendente davvero interessante. Ho trovato interessante anche il fatto che abbia detto: è una domanda, dobbiamo farcela per forza. No, non tutte le domande vanno poste e soprattutto in determinati contesti”. 

Giovanni Scafoglio è intervenuto sostenendo che per un giornalista è sempre lecito porsi domande, perché nel proprio intimo egli deve comprendere a fondo il contesto e le dinamiche dell’accaduto. “Ciò che non va bene dal punto di vista della comunicazione è dirlo pubblicamente, perché è come fare un processo”.

Perché Barbara Palombelli ha turbato e generato un’ampia condanna? 

Esistono domande NON lecite per i giornalisti? Cosa ci si aspetta da questi? Perché le parole di Barbara Palombelli hanno suscitato clamore?

A tal proposito, durante la conversazione sono state citate le parole di Riccardo Sorrentino, che lavora per il Sole24ore

“La giornalista ha invertito il procedimento corretto. Una giornalista, nella sua attività quotidiana di ricerca della notizia, prima cerca di capire. Se inciampa su qualche indizio, verifica. E non è detto che ci sia (l’indizio). Poi valuta anche con l’aiuto di esperti se psicologicamente e giornalisticamente quanto ha trovato è rilevante. Infine, con estrema delicatezza nei confronti della vittima, senza che la notizia si trasformi in una condanna morale, può raccontarla. 

L’errore è aver invertito la procedura, aver generalizzato. Ha presupposto dichiarando non solo che la dinamica di coppia potesse essere rilevante – fatto che già richiederebbe una verifica puntuale – ma che addirittura possano esserci state delle provocazioni specifiche”

Allora esistono davvero delle domande NON lecite per un giornalista?

Gabriele Isman, giornalista de La Repubblica, ha affermato di non aver visto la scena. 

“Cosa chiediamo ai giornalisti? Di raccontare dei fatti e possibilmente arrivare ad una verità che possa essere testimoniata da numeri, evidenze, pensieri; altrimenti si diventa commentatori. La Palombelli ha posto una domanda e io non credo che non esistano domande non lecite. Il mio maestro di giornalismo il primo giorno mi disse di esercitare lo spirito critico, di fare domande, di ricordare che non esistono domande non lecite se non una forma di domanda non lecita, qualora questa sia posta in maniera allusiva”.

“Quindi o ai giornalisti chiediamo semplicemente il resoconto (come pura cronaca, e va benissimo), oppure i giornalisti devono stimolare il dibattito, perché tutti i grandi casi di giornalismo nascono da domande”. 

“La domanda che lei ha posto può avere come risposta anche un no secco, ma questo allora ci porta a dire che nelle leggi che abbiamo in Italia per prevenire la violenza sulle donne ci sono delle toppe.

Se le domande della Palombelli ci fanno capire che dobbiamo stringere di più la vite, la domanda è stata utile”

Raff Cutolo ha quindi specificato che è ovvio che la ricerca sia mossa dalle domande. Il punto, secondo lui, è che “quella, nella maniera in cui è stata posta, non è una domanda scevra di pregiudizio di Bayes. Se lei l’avesse posta in maniera neutrale, potremmo difendere la posizione della domanda lecita. Invece la sua è una domanda non domanda”.

Cosa ci si aspetta, allora, dai giornalisti?

Maurizio Massini, psicoterapeuta e sessuologo, ritiene che il giornalismo abbia la necessità di porre domande, anche le più scomode, ma seppure la risposta alla domanda della Palombelli fosse stata affermativa, ciò non avrebbe giustificato la reazione violenta da parte dell’uomo. 

“Non esiste ragione per uccidere nessuno, così come fare violenza psicologica. Fare una domanda alla quale la risposta è implicita significa alludere ad altro” 

Gianluigi Lisi, manager e GenZ EmpowerMentor, ha sottolineato quanto sia importante che i giornalisti riportino in primis i fatti, e poi che promuovano in maniera onesta e non manipolativa la formazione di un’opinione pubblica – rivolgendosi a persone capaci di ricevere un’informazione correttamente. 

In seguito al polverone alzatosi, la Palombelli si è scusata pubblicamente:

“Io non mi sono spiegata bene e quindi mi sono scusata con il pubblico e con l’azienda, se uno sbaglia a parlare sbaglia. Non ho autori, non ho auricolari, quindi ho sbagliato io e mi sono scusata”. 

Quest’affermazione ha suscitato qualche dubbio nei partecipanti alla room. 

Andrea Valeri, fondatore del club Culturaitalia e direttore artistico del museo Palazzo Merluana, ha messo in evidenza il contesto d’enunciazione: uno studio televisivo con regista, aiuto alla regia e assistente alla sala, tutti impegnati nella registrazione della puntata.

“La sua affermazione era parte di un canovaccio e tutto il contesto attorno non ha sentito la necessità di censurarla. O tutto il contesto ha ritenuto che quelle parole fossero condivisibili, oppure si è ritenuto che le conseguenze potessero essere accettabili”. 

Quella di Forum, allora, è stata una mossa volta ad ammiccare all’Auditel? Le parole sono state davvero studiate e approvate? Le domande della Palombelli stanno avendo un’effettiva utilità?

I se e i ma sono evidentemente molti, così come le letture che possono essere date all’accaduto. 

Ciò che più importa – al di là delle parole, del modo nel quale sono state dette e del compito dei giornalisti – è lo spirito critico dei lettori e dei telespettatori che, nel ricevere l’informazione, sono consapevoli del fatto che non ci sia scusante che tenga quando si parla di femminicidio

In questo senso, educare e formare le nuove generazioni alla gestione delle emozioni potrebbe essere la svolta decisiva. 

Maria Francesca Ruscitto

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