Il 19 luglio 1992, in via D’Amelio a Palermo, si consumò una delle stragi più drammatiche della storia italiana, con l’assassinio del magistrato antimafia Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta: Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli e Claudio Traina. L’attentato, organizzato dalla mafia siciliana, avvenne solo 57 giorni dopo l’uccisione di Giovanni Falcone, altro simbolo della lotta alla mafia. Borsellino e Falcone avevano lavorato insieme al Maxiprocesso di Palermo, che aveva portato alla condanna di centinaia di membri della mafia, segnando un duro colpo per Cosa Nostra.
La strage di Via D’Amelio
Quel pomeriggio di luglio, Borsellino si recò in via D’Amelio per visitare sua madre. Appena sceso dall’auto, un’autobomba esplose, causando una devastazione totale. L’esplosione, che uccise anche i cinque agenti della scorta, fu così potente da distruggere parte del manto stradale e danneggiare gli edifici circostanti fino al quinto piano.
L’isolamento dei magistrati
Borsellino e Falcone furono figure centrali nel pool antimafia di Palermo, ma dopo il Maxiprocesso, si sentirono sempre più isolati. Dopo la partenza di Antonino Caponnetto, il Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) preferì nominare Antonio Meli, estraneo al pool antimafia, invece di Falcone, spezzando così la continuità del lavoro svolto. Questo fu percepito come un segnale di abbandono da parte dello Stato nei confronti dei magistrati più esposti.
I depistaggi e l’agenda rossa
Le indagini sulla strage di via D’Amelio furono compromesse da numerosi depistaggi. Il caso più emblematico riguarda Vincenzo Scarantino, un piccolo criminale che fu costretto a confessare falsamente il proprio coinvolgimento nell’attentato dal capo della squadra mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera. Le dichiarazioni di Scarantino portarono a uno dei più grandi depistaggi nella storia italiana. Inoltre, la famosa “Agenda Rossa” di Borsellino, contenente appunti cruciali sulle indagini antimafia, scomparve misteriosamente subito dopo l’attentato, alimentando sospetti di complicità all’interno delle istituzioni.
I lati oscuri e i sospetti sui politici
Molti aspetti della strage di via D’Amelio rimangono oscuri. Le indagini hanno spesso suggerito connessioni tra la mafia, la politica e altri poteri occulti. Il ruolo dei servizi segreti e della massoneria è stato più volte menzionato. Politici come Nicola Mancino, all’epoca Ministro dell’Interno, sono stati accusati di non aver protetto adeguatamente Borsellino e di aver ignorato le minacce imminenti. Le indagini e i processi successivi hanno portato alla luce il coinvolgimento di alcuni membri delle istituzioni nel depistaggio delle indagini.
Le condanne
Totò Riina, il capo dei capi della mafia siciliana, fu uno dei principali responsabili condannati per l’attentato. Recentemente, Matteo Messina Denaro, un altro boss mafioso di alto livello, è stato arrestato e condannato all’ergastolo per il suo ruolo negli omicidi di Falcone e Borsellino (The Local). La cattura di Messina Denaro, avvenuta dopo 30 anni di latitanza, rappresenta una vittoria significativa nella lotta contro la mafia, ma il dibattito sull’efficacia della risposta dello Stato continua.
Il fallimento delle istituzioni
Nonostante i progressi nella lotta alla mafia, la strage di via D’Amelio è vista come un fallimento delle istituzioni italiane. Borsellino e Falcone, pur consapevoli dei rischi, furono lasciati senza un’adeguata protezione. La loro morte evidenziò le carenze dello Stato nella difesa dei suoi magistrati più coraggiosi e determinati. A distanza di oltre trent’anni, molti ritengono che lo Stato non abbia ancora appreso appieno la lezione del loro sacrificio.
Elenco delle vittime della strage di Via D’Amelio
- Paolo Borsellino: magistrato antimafia.
- Agostino Catalano: capo scorta.
- Walter Eddie Cosina: agente di polizia.
- Emanuela Loi: agente di polizia, la prima donna poliziotto a essere uccisa in servizio in Italia.
- Vincenzo Li Muli: agente di polizia.
- Claudio Traina: agente di polizia.
Ginevra Leone
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