Aprile 26, 2024
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Esiste un rapporto tra individualità e collettività nei complotti? Chi opera complotti è davvero la prima vittima dei complotti stessi? 

Enzo Aronica (direttore, documentarista, fotografo e docente) pone il focus sulla base biologica parlando dei lemmini, dei roditori della penisola scandinava che migrano verso la morte per cercare più cibo. Essendo in grado di nuotare, se trovano un ostacolo d’acqua provano ad attraversarlo, ma alcuni muoiono inevitabilmente. La memoria genetica si suppone gli indichi quella strada, perché in un’ipotetica Pangea la terra non terminava e il mare non c’era. 

Ciò spinge a chiedersi se chi opera il complotto possa definirsi vittima di sé stesso

La riflessione sull’individuo rievoca l’immagine di Amleto: l’individuo nella sua solitudine vede complotti anche dove potrebbero non esistere, come nel caso dello spettro del padre di Amleto, necessario a edificare il complotto attorno a lui.

Giovanni Scafoglio afferma infatti che “In democrazia il popolo, quando non ha un governo in cui si riconosce, si sente solo e pensa a un complotto. Nelle tirannie avviene il contrario: quando il tiranno è solo (in accezione shakespeariana) è lui a sentirsi costantemente vittima di un complotto”. La storia ha dimostrato che si tratta di dinamiche vere: pensiamo ai vari tentativi di uccidere Fidel Castro. 

La solitudine, quando si parla di complotti, è una componente fondamentale  

Alessandro Bertirotti, professore di antropologia mentale, dichiara che non dobbiamo pensare che il complotto sia sempre accettato tout court e ci spiega il perché:

In Menti sospettose: perché siamo tutti complottisti, grandi complotti vengono interpretati come rivoluzioni. Ad esempio, molti storici hanno messo in dubbio che l’incendio di Roma del 64 d.C. sia stato voluto da Nerone e che in realtà sia scoppiato a causa di una festa che si stava preparando. Alcuni commercianti di pane ebbero una serie di incendi che diedero fuoco all’intera Roma.

Ogni rivoluzione è portata avanti da rivoluzionari che, una volta raggiunto il potere, diventano più retrogradi di coloro che hanno combattuto 

L’idea di essere “rivoluzionario dal basso”, nel senso di coloro che prendono coscienza di una situazione di sottomissione e cercano di ribaltarla, non significa diventare un nuovo dominatore. Sarebbe sufficiente arrivare a una situazione paritetica, mantenendo delle diversità.

Le rivoluzioni cambiano molto meno di quello che crediamo cambino, ma quantomeno pongono un’esigenza al centro del pensiero di coscienza

Se una rivoluzione non è delirante e immaginifica non porta a nulla e non realizza sé stessa. Il rivoluzionario deve avere il contatto con la realtà che vuole soverchiare, ma non può avere il contatto con la realtà che vuole instaurare. Nel momento stesso in cui prende contatto con la realtà che vuole instaurare si rende conto che nella sua singolarità aveva un’idea della rivoluzione nella socialità che non è assolutamente identica nella sua individualità, perché le differenze individuali all’interno di una società non si sintetizzano: continuano a rimanere differenze individuali e devono solo diventare compromissorie. 

In ognuno di noi c’è la tendenza a ricercare la fiducia nell’altro, perché sostanzialmente non ci fidiamo. Abbiamo l’idea che ci sia sempre un retropensiero, così quando usiamo aggettivi di una chiarezza e di una trasparenza imbarazzante supponiamo che l’altra persona ci stia prendendo in giro. 

La Dickinson dice:

 Dì tutta la verità ma dilla obliqua. Il successo è nel cerchio. Sarebbe troppa luce per la nostra debole gioia la superba sorpresa del vero

Noi siamo tendenzialmente una specie portata a parcellizzare la verità degli altri. Sono tanti i meccanismi in gioco. Ad esempio…

più siamo di fronte ad una situazione in cui le informazioni sono sparpagliate, poco organizzate e quantitativamente enormi, più la mente umana come difesa non può che pensare a un complotto 

L’essere umano attraverso la sua conoscenza semplifica, perché non può sostenere che la conoscenza possa comprendere la complessità. 

Un altro aspetto fondamentale è la disinformazione. In qualsiasi nostra azione quotidiana siamo stimolati da informazioni contrastanti sulla stessa: ciò può accadere anche nel prendere il treno. È vero che il treno ha fatto ritardo perché si è rotta la linea o perché è stato fatto sciopero? Perché è stato fatto sciopero? 

Questo tipo di situazione procura un atteggiamento delirante che si chiama atteggiamento paranoide. La paranoia è una psicosi, mentre l’atteggiamento paranoico è la giustificazione di ciò che non si comprende attraverso l’idea che qualcuno ci voglia del male per ricavarne un vantaggio

È un’interpretazione volta ad attribuire la colpa di ciò che sta accadendo e che non si può gestire, non nella situazione stessa quanto nella causa scatenante. 

Coloro che affermano i complotti e coloro che li negano in realtà si allontanano dalla propria responsabilità. Ecco perché c’è relazione tra individuo e società e tra individuo e delirio

Quanto siamo in grado di tollerare di essere a nostro agio nell’era della precarietà e dell’incertezza? 

Quanto siamo disposti a prendere in considerazione il fatto che esistono spiegazioni complesse e articolate sul comportamento delle persone? Tolleriamo questa cosa? C’è chi risponde che bisogna essere coerenti, ma l’unica coerenza che la mente umana può sostenere è la coerenza della rivelazione e la rivelazione di sé stessi in costante cambiamento.

L’essere umano vuole arrivare rapidamente alle spiegazioni dei fenomeni e arginare la necessità di un ulteriore sforzo intellettuale. In questo senso, il bisogno di chiusura cognitiva è concreto, ma…

La vera rivoluzione è quella continua e costante della coscienza, della criticità e della riflessione, e i grandi rivoluzionari sono coloro che lo restano tutta la vita 

Maria Francesca Ruscitto

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