La pratica della “blackface”: cos’è e perché non è più accettata?
Le polemiche sollevate dalle POC (acronimo di People Of Color, “persone di colore”) in reazione ai sempre più ricorrenti episodi di “blackface” testimoniano l’insufficiente conoscenza del fenomeno in Italia. Ma cos’è il blackface e per quale motivo sembra indignare così tanto? L’origine della pratica va ricondotta al XIX secolo, epoca in cui fece la sua prima comparsa negli Stati Uniti un particolare stile di makeup indicato col suddetto nome. Esso consisteva nel dipingersi il volto di nero assumendo in tal modo i tratti somatici stereotipati di una persona di colore.
A primo impatto la cosa potrebbe comprensibilmente non destare in noi italiani un immediato senso di riprovazione. Ma se all’anzidetta definizione aggiungiamo che questo stile di makeup era utilizzato presso le compagnie teatrali itineranti alle quali non potevano prender parte le POC con lo scopo di farne una parodia, di ritrarne un’immagine distorta e deforme, allora la situazione cambia. A questo punto risulta evidente che l’opinione pubblica non può ancorarsi ulteriormente a quell’ingenuo giudizio iniziale dettato dall’inconsapevolezza.
La Blackface in Italia
Oggigiorno l’idea condivisa dall’opinione pubblica è che in Italia il fenomeno del blackface non sia paragonabile, e quindi analogamente etichettabile come razzismo, a quello che ha interessato gli Stati Uniti fino alla metà del XX secolo. A confermare ciò è il fatto che l’esibizione di questo stile di makeup persiste in Italia nonostante sia aspramente respinto nella maggior parte degli altri paesi del mondo. È come se, conscia delle sue buone intenzioni, l’Italia avesse spogliato la pratica del suo originale significato per attribuirgliene uno tutto proprio. Uno forse migliore.
Eppure l’effetto prodotto è stato disastroso. Cambiando accezione alla pratica l’Italia ha dato l’impressione di voler invalidare una pagina di storia estremamente importante e dolente per le POC. Dopotutto è giusto ricordare che nel paese in questione non sempre il blackface è stato sfoggiato con i più nobili intenti. Risalgono, per citare un esempio, al 1900 episodi di blackface utilizzato per restituire un’immagine parodica e grottesca delle persone di colore.
Celebre è l’interpretazione di Totò nelle vesti dell’ambasciatore del Catonga
L’attore si mostra in scena col volto scurito, un anello al naso ed emulando per certi versi gli atteggiamenti dei primati. Uno sketch che indubbiamente suscitava ilarità per la bravura di Totò che si trasforma in tempi moderni in uno spunto di riflessione. Per quanto tempo abbiamo inconsciamente contribuito a rafforzare certi stereotipi sulle persone di colore con leggerezza, senza chiederci cosa rappresentasse per esse quella maschera scura?
blackface ignoranza o razzismo? Le buone intenzioni non bastano
Esempi più attuali di blackface in Italia sono recenti e gravitano per lo più attorno al celebre programma Tale e quale Show, in cui i concorrenti in gara si travestono da star della musica intrattenendo al contempo gli spettatori con performance musicali. E siccome tali concorrenti devono essere “tali e quali” agli artisti di cui interpretano le canzoni, si può facilmente dedurre, alla luce di quanto detto, quanto controversa possa apparire l’esibizione di un concorrente bianco che per interpretare un artista di colore si scurisce il volto senza pensarci due volte. Anche qui, l’intenzione benevola che deriva dal volersi attenere alle regole del programma, finisce però per smuovere l’indignazione degli artisti interessati.
È questo il caso del rapper italiano di origini tunisine Ghali che, dopo aver assistito ad un’esibizione nella quale l’artista da impersonare era lui, ha asserito: “Non sto dicendo che c’era del razzismo, sto dicendo che il blackface è una cosa di cui lo spettacolo non ha bisogno. Lo scopo del blackface era quello di denigrare le persone di colore…”. Dunque, sebbene sia riconosciuta l’assenza di razzismo in tale episodio, è anche vero che, da sole, le buone intenzioni non bastano, poiché il risultato (buone intenzioni o non) sarà sempre il medesimo: la sofferenza delle persone di colore. Così come scusarsi con una persona alla quale si è arrecato del male senza volerlo non serve a lenirne le sofferenze, allo stesso modo non si può pensare che la natura delle intenzioni possa annullare gli effetti delle azioni.
blackface ignoranza o razzismo? L’ignoranza come scudo: il razzismo inconsapevole
Stabilito che l’ignoranza non sia un reato, bensì una condizione di incompetenza o inconsapevolezza che non sempre nasconde odio, volontà di fare del male o razzismo, è importante rimarcare che essa è anche una scelta. E di conseguenza anche la via del razzismo lo è. Capire di star perpetuando, forse involontariamente, atteggiamenti scorretti nei confronti delle POC a causa dell’ignoranza e rifiutarsi di correggerli non equivale solo a scegliere di restare incompetenti in materia, ma anche a scegliere di diventare razzisti.
Si tratta di un ragionamento che non ammette linee sfumate, ma solo alternative chiare e nette. In questo caso il rimedio per l’ignoranza non può che essere l’ascolto delle POC. Nessuno più delle categorie interessate può stabilire cosa sia razzista e cosa no. Non spetta a noi bianchi giudicare se un comportamento possa ferire o meno le persone di colore. Il solo fatto che dinanzi ad una persona di colore che si lamenta di episodi di blackface un individuo non facente parte delle POC abbia voglia di discutere è un problema. Dinanzi a questi segnali di sofferenza non c’è da discutere, ma solo da ascoltare e apprendere.
Donatella Di Giulio Cesare