Cos’è il processo di Offboarding? Nell’universo della vita aziendale, si sente spesso parlare di Onboarding, ovvero del programma di inserimento di un nuovo dipendente. Durante questa fase si fa in modo che il nuovo collega si senta coinvolto e integrato all’interno dell’organizzazione. Di contro, però, si tende erroneamente a trascurare il processo di uscita dei lavoratori. Questo accade perché si pensa che l’Offboarding sia un momento di scarsa importanza. Invece, è una fase cruciale, che dice molto sulla capacità aziendale di gestire i talenti attraverso politiche mirate.
L’Offboarding è un processo che genera valore
Rispetto al passato, oggi i livelli di turnover sono cresciuti in maniera esponenziale. Stiamo assistendo ad un cambiamento del significato del lavoro: da statico e prevedibile, a mutevole e incerto. Sia datori che lavoratori sono chiamati ad un continuo adattamento all’incertezza. Questo vuol dire che i rapporti di lavoro sono più soggetti ad interruzioni, quindi alle uscite. Ma non tutti i reparti delle Risorse Umane risultano essere preparati alla gestione dell’Offboarding.
Anzi, talvolta si dà per scontato che i dipendenti, una volta inseriti nella struttura organizzativa stiano sempre bene. Tutte le attenzioni si catalizzano sull’Onboarding. In realtà, anche il processo di Offboarding è vitale al fine di generare valore all’interno della cultura aziendale. Bisognerebbe mostrare maggiore interesse verso le uscite, sia a livello normativo che psicologico. Dimostrare di essere preparati a questo processo fa la differenza tra un’azienda e l’altra.
Come si fa a essere preparati?
Innanzitutto serve partire dal presupposto che la relazione tra organizzazione e lavoratori è flessibile. Ciò significa che in un contesto dinamico come quello attuale, le persone – ad un certo punto della loro carriera – sentono il bisogno di fare nuove esperienze. Quindi, bisogna adeguarsi a questa realtà e mostrarsi flessibili.
Sebbene una persona abbandoni l’azienda, è sempre meglio lasciarsi in modo garbato e gentile, mostrando accoglienza e apertura. Ma soprattutto ascolto verso tutte quelle che sono le ragioni che portano all’uscita. In questo modo si scovano motivazioni che possono essere utili all’azienda al fine di trattenere i talenti ed evitare che altri vadano via per le stesse cause.
Attenzione, l’uscita può essere intesa anche come licenziamento. E anche in questo caso è necessario adottare atteggiamenti consoni, perché ne va dell’immagine aziendale.
Poi, al di là degli aspetti etici e relazionali, per essere preparati occorre avere a disposizione un programma a livello normativo. Procedure e regole sono essenziali per una corretta gestione delle dimissioni. In tal senso, si evitano possibili perdite finanziarie o reclami che possono mettere l’azienda in difficoltà dal punto di vista legale.
Il significato olistico del processo di Offboarding
A proposito di cura del processo di OffBoarding, le docenti Alison M. Dachner e Erin E. Makarius hanno elaborato una visione olistica di questa procedura. Al contrario di quanto si pensi, le due studiose sostengono che l’Offboarding sia un’opportunità per creare valore a lungo termine. Un approccio olistico, consente di pianificare in anticipo le uscite dei dipendenti, così da non restare impreparati. Inoltre, permette di approcciarsi a questo processo in maniera frequente. E non soltanto quando serve.
In questo modo, quando un collaboratore va via, i manager non sono colti di sorpresa perché l’azienda avrà pianificato un ricambio del personale. Quindi, l’Offboarding olistico rende marginali tutte le conseguenze negative che possono derivare da un’uscita.
Ad ogni modo, un simile programma deve essere supportato da relazioni di fiducia, basate sul dialogo e sulla trasparenza
L’azienda deve mostrare interesse verso i propri collaboratori, preoccuparsi del loro grado di soddisfazione e di benessere. Fare in modo che essi si sentano liberi di affrontare un problema o di avanzare una richiesta per la propria crescita professionale. Insomma, coltivare il contratto psicologico è fondamentale per diminuire i livelli di turnover.
E poi, non dimentichiamoci che lasciare l’azienda per cui si lavora può essere un momento difficile per chi lo vive. A meno che la persona in questione abbia maturato un malessere verso l’ambiente lavorativo. Però, se quell’azienda ha lasciato un segno umano e professionale, di certo andare via non deve essere semplice. A maggior ragione, bisogna essere empatici verso l’uscente. I cambiamenti, in fondo, provocano sempre un turbinio di emozioni contrastanti.
Va da sé che, prendersi cura del dipendente dall’inizio alla fine, vuol dire non dargli motivo di parlare male dell’organizzazione. Anzi, il passaparola resta un mezzo di comunicazione potente per diffondere all’esterno la Brand Reputation di un’azienda.
Tra l’altro, nei settori in cui si registra una maggiore “mobilità”, come quello Digital/IT, può succedere che alcuni scelgano di ritornare nell’azienda in cui hanno già lavorato in passato
In tal senso, l’Offboarding impedisce che i rapporti personali si sovrappongono a quelli professionali.
Dunque, si può concludere affermando che imbastire un programma di OffBoarding può solo giovare alle aziende, dal punto di vista sia legale che etico. Per questo è bene che le imprese curino l’Offboarding tanto quanto l’Onboarding affinché possa aumentare la loro capacità di attrarre talenti. E di stare al passo con le trasformazioni socio-culturali.
Emanuela Mostrato
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