Il 31 luglio 1968, Franklin Armstrong fece il suo debutto nelle strisce dei Peanuts, segnando una svolta epocale nella rappresentazione dei personaggi afroamericani nei fumetti. Charles M. Schulz, il creatore dei Peanuts, introdusse Franklin in risposta a una lettera inviata da Harriet Glickman, un’insegnante di Los Angeles, che vedeva nell’inclusione di un personaggio nero un’opportunità per promuovere la comprensione e l’amicizia tra diverse “razze”. Il personaggio è omaggio a Martin Luther King Jr. assassinato il 4 aprile 1968 e il nome, ovviamente, al grande jazzista afrodiscendente.
La lettera di Harriet Glickman
Poco dopo l’assassinio di Martin Luther King Jr. il 4 aprile 1968, Glickman scrisse a Schulz chiedendogli di considerare l’inclusione di un bambino nero nelle sue strisce. Schulz inizialmente esitò, temendo che il suo tentativo potesse risultare paternalistico o insincero. Tuttavia, Glickman non si arrese e coinvolse amici neri nella corrispondenza con Schulz, sottolineando l’importanza di una rappresentazione autentica e significativa.
Il debutto di Franklin
Il primo incontro tra Franklin e Charlie Brown avviene sulla spiaggia, dove Franklin restituisce a Charlie la sua palla da spiaggia. Nei successivi giorni, i due bambini costruiscono insieme un castello di sabbia e parlano delle loro vite: Franklin racconta che suo padre è un soldato in Vietnam, mentre Charlie Brown dice che il suo è un barbiere. Questo semplice ma potente dialogo rifletteva le realtà sociali dell’epoca e apriva la strada a discussioni più profonde sui temi della guerra e dell’uguaglianza.
Opposizioni e polemiche
Nonostante il gesto innovativo di Schulz, l’introduzione di Franklin non fu priva di controversie. Alcuni giornali del Sud degli Stati Uniti minacciarono di cessare la pubblicazione delle strisce dei Peanuts se avessero continuato a mostrare bambini bianchi e neri insieme a scuola. Schulz, tuttavia, rimase fermo nella sua decisione e rifiutò di rispondere alle richieste di modifica delle sue storie. Nel tempo, l’opposizione diminuì e Franklin divenne un personaggio regolare della serie.
Franklin era rappresentato come un bambino modello: gentile, bravo a scuola e nello sport, e sempre rispettoso verso gli altri, incluso Charlie Brown, spesso vittima di bullismo dagli altri bambini. Alcuni critici ritennero che questa rappresentazione fosse troppo perfetta e poco caratterizzata, ma Schulz spiegò che il suo obiettivo era di evitare stereotipi negativi e mostrare un esempio positivo.
Le accuse di razzismo
I tempi cambiarono e nel 1974 fu Schulz a essere accusato di razzismo: disegnò una striscia in cui Franklin si allena per diventare un grande giocatore di hockey e Piperita Patty gli dice «quanti neri che conosci sono nella NHL?» (cioè il principale campionato di hockey nordamericano). L’ultima apparizione di Franklin è del 1999, un anno prima della morte di Schulz.
L’introduzione di Franklin nei Peanuts ebbe un impatto notevole sulla rappresentazione dei personaggi neri nei media e contribuì a promuovere l’idea di inclusività e uguaglianza. L’influenza di Franklin si estende anche ad altri creatori di fumetti afroamericani, come Robb Armstrong, autore di “JumpStart,” che riconosce il contributo di Schulz nella sua carriera e nella sua vita.
Vorrei chiudere questo articolo citando le parole in merito di Charles Schulz
«Non ci ho mai fatto molto con Franklin perché non faccio cose razziali. Non sono un esperto della razza, non so cosa voglia dire crescere come un bambino nero e penso che uno dovrebbe disegnare solo quello che capisce veramente, a meno di voler smuovere le cose e insegnare alla gente qualcosa. Io non faccio questo lavoro per istruire la gente, lo faccio solo per divertirla. Ogni tanto posso insegnare qualcosa, ma non sono il tipo che fa proseliti. Lascio che sia qualcun altro a farlo».
NDA: Dovrebbe essere inutile specificare che Schulz usa il termine “razza” nel contesto storico degli anni ’60 e ’70, quando era comunemente usato per descrivere le differenze etniche e culturali. Credo sia evidente che non avesse alcun intento razzista.
E’ bene precisare che la comunità scientifica ha iniziato a riconoscere ampiamente che la razza è una costruzione sociale e non ha basi biologiche già negli anni ’70 e ’80. Tuttavia, un consenso più consolidato e diffusamente accettato si è formato negli anni ’90. Un punto di riferimento importante è stato il Progetto Genoma Umano, completato nel 2003, che ha dimostrato che geneticamente tutti gli esseri umani sono estremamente simili e che non esistono distinzioni razziali significative a livello genetico.
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