Jim Morrison scrisse: Con lo sguardo si è più indifesi e sinceri, si dicono emozioni interiori e verità che le parole non riescono a esprimere.
Ed è proprio l’assenza di uno sguardo, di un volto, occultato a volte da un “velo” di indefinito , ciò che caratterizza gli autoscatti di questo autore.
Francesco Vario, classe ‘94, è nato in un piccolo paesino del Cilento (SA). Attualmente studia musica presso il Conservatorio: “non mi ritengo un fotografo, non sento la necessità di doverlo fare, mi interessa soltanto poter comunicare”.
La privazione della “vista” permette di distaccare lo sguardo da chi ti sta attorno, dagli sguardi che chiedono di essere guardati, da chi vuole interagire. Tuttavia, tratti del viso sfumati, appiattiti, bocca, occhi e naso inesistenti, “infiniti” o appena accennati, la dinamicità statica dell’autore/ protagonista, se da un lato possono risultare inquietanti, dall’altro contribuiscono a fermare il ricordo e l’attenzione. Acuiscono i sensi, incuriosiscono: esiste un’implicita richiesta nel mostrarsi celandosi.
“Non ricordo precisamente quando iniziai a ritrarmi. Sentivo l’esigenza di doverlo fare, per esternare ciò che provavo in quel preciso istante, contestualizzandolo. I miei scatti non sono tutti studiati, meditati, molti sono istintivi, nel senso che nascono nel momento in cui provo un determinato stato emotivo, in pratica un impulso nevrotico intento a canalizzare la ”piena” emozionale di cui sono vittima.”
Quando si oltrepassa il limite temporale di una semplice scorsa ai fotogrammi di Francesco, come se guardassimo attraverso il buco di una serratura, sembra di penetrare in un mondo arcano fatto di misteri inviolati; la scelta di tonalità cupe, di luoghi abbandonati ma carichi di pathos, creano dinamiche “intime”; appare doveroso dunque chiedere il permesso prima di entrare, per poi continuare a camminare in punta di piedi, con delicatezza; frammenti emotivi.
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