A due anni dalla morte di Mahsa Amini, il ricordo di questa tragica vicenda sembra aver perso l’eco che aveva scosso l’Italia e il mondo intero. Quando la giovane iraniana di 22 anni morì il 16 settembre 2022, dopo essere stata arrestata dalla polizia morale di Teheran per aver indossato in modo “inappropriato” il velo, le manifestazioni di solidarietà esplosero in diverse parti del mondo, Italia inclusa. Oggi, però, l’anniversario della sua morte sembra passare quasi inosservato. Solo pochi giornali italiani, come Il Corriere della Sera, ne hanno riportato la notizia, e le manifestazioni per ricordarla sono state deserte. Cosa ha causato questo calo di interesse? A pensar male non si va lontani: il contesto geopolitico potrebbe giocare un ruolo chiave. Oggi, criticare l’Iran significa, implicitamente, criticare un alleato fondamentale di Hamas, che ha scatenato l’attuale conflitto con Israele.
Mahsa Amini va forse dimenticata per non criticare l’Iran, il protettore di Hamas?
In un’Italia dove il sostegno alla causa palestinese e, indirettamente, alla resistenza di Hamas contro Israele è più forte, qualsiasi accusa diretta contro l’Iran può sembrare un attacco velato a quel fronte. Questa dinamica potrebbe spiegare perché la lotta delle donne iraniane, simbolizzata dalla morte di Mahsa Amini, stia scomparendo dalle prime pagine dei giornali.
La morte di Mahsa Amini e l’inizio delle proteste
Mahsa Amini fu arrestata a Teheran il 13 settembre 2022 per non aver rispettato le rigide regole sull’hijab. Tre giorni dopo, morì in ospedale a seguito delle percosse subite durante la custodia della polizia morale. La sua morte diede inizio a un’ondata di proteste senza precedenti in Iran, con donne che si toglievano il velo in segno di protesta e una repressione brutale da parte del governo: oltre 500 persone furono uccise e migliaia arrestate.
Nonostante la repressione, il movimento “Donna, Vita, Libertà” è rimasto vivo, seppur in forme meno visibili. Le manifestazioni si sono trasformate in atti di disobbedienza civile: donne che rifiutano di indossare il velo anche a rischio della vita, artisti che esprimono il loro dissenso attraverso l’arte e giornalisti che, nonostante la censura, continuano a far sentire la loro voce.
Cosa è cambiato in questi due anni?
In Iran, il regime non ha mostrato segni di cedimento. Al contrario, la repressione si è intensificata, con nuove leggi come il Piano Noor, che autorizza pattuglie della polizia morale a monitorare anche ambienti privati, come le auto, per verificare il rispetto delle leggi sull’abbigliamento femminile. Esecuzioni, arresti arbitrari e processi sommari continuano a essere all’ordine del giorno.
Nel frattempo, in Occidente, l’interesse mediatico e politico per la causa delle donne iraniane sembra essersi affievolito. Le celebrazioni per l’anniversario di Mahsa Amini, un tempo molto partecipate, sono oggi poche e scarsamente frequentate. Le manifestazioni organizzate da gruppi come Amnesty International sono passate in sordina.
Il silenzio dei media e il destino delle donne iraniane
Se da un lato è comprensibile che l’attenzione globale possa spostarsi su nuove crisi e conflitti, dall’altro il quasi totale silenzio mediatico sull’Iran solleva preoccupazioni. È possibile che, in un momento in cui criticare l’Iran può essere visto come un attacco indiretto a Hamas e alla causa palestinese, molte testate e figure pubbliche preferiscano evitare di esporsi? Se così fosse, ciò significherebbe abbandonare le donne iraniane, che continuano a combattere una battaglia impari per la loro libertà, in balia di un regime che sembra sempre più autoritario.
La memoria di Mahsa Amini e il sacrificio di tante altre donne iraniane non dovrebbe essere dimenticato. Lasciare che la critica all’Iran svanisca dalle pagine dei giornali italiani significa accettare, implicitamente, che la lotta per i diritti delle donne possa essere sacrificata in nome di equilibri geopolitici.
Ginevra Leone
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