In tempi pandemici e di costante riorganizzazione della vita quotidiana, la famiglia ha assunto ed assume una centralità mai vista prima d’ora. Genitori e figli si sono ritrovati a dover sopperire alle mancanze del Welfare, facendo confluire nel nucleo familiare spazi didattici, sociali e ricreativi. Motivo per cui, non sono poche le difficoltà di una vita sociale traposta nella vita familiare.
La famiglia è nell’immaginario collettivo quell’istituzione primaria destinata alla cura e alla crescita dei bambini. Il sociologo David H. J. Morgan la definisce come uno spazio fluido, in cui convergono diverse pratiche della propria routine. Il problema però, è che la presenza della pandemia e il confinamento nelle mura domestiche, rendono la famiglia l’unico centro gravitazionale della vita sociale. Genitori e figli sono l’uno l’appiglio dell’altro.
Ma quali sono le ripercussioni in termini psicologici, di una vita sociale trasposta nel nucleo familiare?
I genitori sicuramente stanno sperimentando una nuova genitorialità. Sono coinvolti in attività che eccedono quelle a cui sono abituati. La costante supervisione dei propri figli, genera nei genitori un atteggiamento ossessivo – compulsivo. Quasi come se avessero paura di sbagliare o di lasciarsi sfuggire dettagli importanti della vita dei loro figli.
La nuova genitorialità ai tempi della pandemia non fa altro che farsi carico della totale educazione dei bambini e dei giovani. Questo però, provoca nei genitori uno stato di preoccupazione. Un indomabile bisogno di controllare la vita dei propri figli. Di conseguenza, anche quest’ultimi avvertono il peso di una quotidianità talvolta alienante e oppressiva.
La privazione dello spazio scolastico, il non contatto fisico con amici ed insegnanti, l’assenza di luoghi ludici, sono tutte rinunce che diventano motivo di sofferenza, spesso inconscia. Non a caso, molti bambini e giovani, somatizzano questi cambiamenti “forzati” attraverso disturbi come l’ansia, stress, nervosismo, iperattività. Ecco dunque, che si verificano gli aspetti ignoti concernenti l’educazione relegata nel solo spazio familiare e domestico.
Purtroppo però, mentre si parla di ciò che è giusto fare per contenere la diffusione del virus Covid-19, si pone poca attenzione alle conseguenze psicologiche e sociali che investono gli individui.
I genitori si, stanno assumendosi ogni responsabilità verso i propri figli. Arrancano nel conciliare famiglia e lavoro. A volte crollano, di soppiatto, ma fanno di tutto per mostrarsi forti. I figli dal loro canto, stanno affrontando questa “sfida”, imposta da un tempo tiranno. Cercano di dare il massimo e di svolgere la loro esperienza scolastica seppur delocalizzata e ri-concettualizzata. Si impegnano nella didattica a distanza, cercando di non deludere né genitori, né insegnanti.
Eppure, la possibilità che genitori e figli possano aver bisogno di un supporto politico, sociale ed economico, non si può di certo ignorare
Sovvengono, infatti, nel dibattito pubblico i racconti di famiglie in difficoltà, magari prive di risorse materiali per poter garantire ai propri figli una buona istruzione. Oppure, laddove vi sono le possibilità economiche, mancano le attitudini umane ed empatiche. Ecco perché la scuola svolge un ruolo imprescindibile, perché spesso gli insegnanti fungono da rifugio, da modello di riferimento. Soprattutto nei contesti familiari disagiati e umanamente disfunzionali.
Purtroppo, è ovvio che stando sempre in casa, davanti ad uno schermo, diviene più complesso “affidarsi” al maestro o all’insegnante. Ogni minima difficoltà, può diventare insostenibile ed ingestibile.
La bellezza del contatto umano, infatti, sta proprio nella sua capacità di mettere in sintonia le persone. E non sempre la digitalizzazione riesce in tal senso. I limiti posti dalla mancata socializzazione esistono e non possono essere oscurati. Le difficoltà di una vita sociale traposta nella vita familiare, vanno affrontate. Probabilmente, la “normalità” che caratterizzava i nostri giorni prima della pandemia, faticherà ancora un po’ ad arrivare. Proprio per questo, si rischia che la vita familiare si trasformi in un non-luogo, in cui ognuno si avvinghia nelle proprie fragilità.
‹‹La fragilità ha bisogno dell’Altro››, lo afferma lo psichiatra Vittorino Andreoli, parlando dell’Umanesimo della fragilità. Ed è forse quello di cui gli uomini hanno bisogno, ovvero di “aggrapparsi” all’aiuto di un’altra persona.
Dunque, le istituzioni dovrebbero pensare a strade alternative per consentire alle famiglie di reagire e resistere in questo status quo. In una società attraversata da un completo capovolgimento della propria routine e dall’interruzione dei momenti di aggregazione, le persone necessitano di sapere che non sono sole. Che possono contare sull‘Altro.
Quando tutto questo finirà, la gente non dovrà essere vittima delle paure.
Piuttosto libera e felice di ritornare tra le strade della città, senza timori. Ma perché questo accada, le famiglie non possono più essere abbandonate a se stesse. Né dal punto di visto emotivo, né dal punto di vista socio-economico.
Emanuela Mostrato
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