All’1.23 della notte di domenica 4 agosto 1974 una bomba esplose sul treno Roma-Monaco con 342 persone a bordo. Il tratto di transito era San Benedetto Val di Sambro, sull’Appennino bolognese. Il bilancio: 12 morti e 48 feriti. Italicus fu rivendicato da Ordine Nero. Tra le vittime, di età fra 14 e 70 anni, tre turisti stranieri (un olandese, un austriaco e un giapponese), tre componenti di una famiglia – marito, moglie e figlio adolescente – e il 25enne forlivese Silver Sirotti, medaglia d’oro al valore civile, controllore che non doveva nemmeno essere in servizio quella notte. Fu tra i primi a soccorrere i passeggeri nella carrozza colpita. La quinta. Sventrata quasi all’uscita dalla lunga galleria dell’Appennino toscoemiliano, e morì sopraffatto dal fuoco e dal fumo. Sono passati 50 anni dalla strage dell’Italicus e nessuno ha pagato. Nessun colpevole condannato.
Italicus la “strage dimenticata”
“È una strage dimenticata, per la giustizia italiana non ci sono colpevoli – ha detto il fratello Franco a Repubblica Bologna. “Siamo fermi alla Cassazione, dove i neofascisti furono assolti. Ci è mancato anche il non avere un’associazione delle vittime, e in questo Paese solo con l’impegno dei familiari si tengono i fari accesi. Sono in contatto con un pool di avvocati, non sarà facile ma puntiamo alle riapertura delle indagini”.
Lo stesso relitto del vagone sventrato non è stato conservato. Il 9 maggio a Palazzo Madama in occasione della Giornata in memoria delle vittime del terrorismo, alla presenza di Mattarella, Franco Sirotti ha lanciato un appello, chiedendo di togliere il segreto di Stato su tutte le stragi. Il fratello Silver domani sarà ricordato a Forlì in una cerimonia istituzionale al giardino pubblico a lui intitolato alla presenza del sindaco Gian Luca Zattini e dei familiari.
L’Italicus fu rivendicato da Ordine Nero
Eppure non ebbe responsabili: tutti gli imputati processati. In particolare Mario Tuti e Luciano Franci, ritenuti leader e gregario della cellula toscana del Fronte nazionale rivoluzionario – sono stati assolti, in uno scenario fatto anche di segreti di Stato, depistaggi e coperture. “Mancano le prove – motivarono i giudici della Suprema Corte – esistono solo indizi, tesi e illazioni non suffragati da certezze e fatti concreti”.
L’espresso 1486 era partito dalla stazione di Roma Tiburtina alle 20.35 ed era transitato da Firenze Santa Maria Novella a mezzanotte e mezzo. Al momento dello scoppio – se l’ordigno fosse esploso più all’interno, il numero delle vittime sarebbe stato maggiore – avrebbe dovuto essere a Bologna. L’ordigno doveva già allora colpire la stazione? A bordo, riferì trent’anni dopo Maria Fida Moro, era salito anche il padre Aldo, all’epoca ministro degli Esteri, per raggiungere la famiglia in Trentino, ma prima che il treno partisse fu fatto scendere “per firmare carte importanti”.
Dieci anni dopo, un altro attentato all’interno della stessa galleria, quello del rapido 904 Napoli-Milano (domenica 23 dicembre ’84) carico di passeggeri in viaggio per le feste di fine anno, costò la vita a 16 persone, 267 i feriti.
La redazione – fonte Ansa
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