Nelle recenti sfilate stilisti come Alexander Mc Queen, Miu Miu, Miuccia Prada e Balenciaga hanno ripreso la tendenza esplosa negli anni ’90 degli saggy pants. Ora declinati anche al femminile con gonne dalla vita bassissima. La caratteristica dei pantaloni saggy è il tessuto slabbrato che cadendo al di sotto dei fianchi lascia scoperte le mutande. Tutto ciò ha acceso delle polemiche su Saggy pants e l’appropriazione culturale nella moda.
Ma cosa sono gli Saggy pants e perché parliamo di appropriazione culturale nella moda?
La provenienza di questo stile è legata alla procedura delle carceri americane di privare i detenuti delle cinture per evitare un tentativo di suicidio, assegnando loro uniformi spesso troppo larghe e cadenti (sagging), che lasciavano intravedere i boxer.
Una volta scontata la pena, molti ex detenuti decidevano di conservare l’abitudine di indossare pantaloni larghi e cadenti sui fianchi come marchio distintivo rendendosi riconoscibili tra loro anche al di fuori della galera, manifestando una estraneità alle regole di ordine civile.
Un concetto ripreso in larga parte anche da artisti della sfera hip-hop e rap come Tupac e 50cent, che si sono fatti portavoce dello stile “gangsta rap” indossando i saggy pants.
Diffusi sempre più tra giovani a cavallo tra gli anni ’90 ed inizi 2000
Oggi gli saggy pants sono diventati oggetto di dibattito tra storici legati alla cultura afroamericana. La storica della moda Tanisha Ford docente alla City University of New York, ha infatti precisato che gli saggy pants sono riconducibili alla zoot suit largamente diffusa tra la comunità afroamericana degli anni ’30 quando i vestiti erano di seconda mano e adattati alla bene e meglio in casa.
Considerati già allora un tratto distintivo della criminalità di strada, soprattutto in una visione retorica e razzista che vedeva il binomio afroamericano/criminale.
Negli anni i pantaloni sagging sono stati spesso demonizzati diventando addirittura oggetto di leggi ad hoc in molti stati americani che vietano l’uso dei pantaloni cadenti
Nel 2019 un ragazzo è stato crivellato di colpi da un agente perché indossava dei saggy pants vietati da un’ordinanza del 2007 dello stato della Louisiana. Il poliziotto lo aveva identificato come un criminale per il suo abbigliament. A fronte di tutto quello che questi pantaloni hanno rappresentato e possono ancora rappresentare, in molti si sono chiesti quanto la moda sia legittimata da appropriarsi di quella che è una proprietà culturale e identitaria di una determinata comunità.
La moda è una forma d’arte
Si può essere più o meno d’accordo con questa affermazione, ma è innegabile che una collezione portata sulle passerelle di New York o Milano da qualunque stilista abbia in sé elementi “visionari” e concettuali tali da poterli inserire nella sfera artistica.
E cos’è l’Arte se non plasmare la realtà secondo una visione soggettiva dell’artista?
L’artista è una persona che vive la realtà. Vede ciò che lo circonda, si interessa dei temi civili e culturali per poi rielaborarli secondo la sua sensibilità.
Il problema è che la moda è considerata una macchina da soldi. La preoccupazione è che l’attenzione verso una sfera controversa della storia della comunità afroamericana, possa trasformarsi in mera mercificazione e spettacolarizzazione di qualcosa che scava nel profondo, nell’integrazione tra bianchi e neri da sempre difficile a mai del tutto attuata, negli USA come nel resto del mondo.
Possono davvero un paio di pantaloni mettere a rischio decenni di battaglie per l’integrazione?
O già solo il fatto che sia nato questo dibattito rende possibile un dialogo tra diverse culture?
Saggy pants e l’appropriazione culturale nella moda? “Purchè se ne parli” scriveva Wilde
E se parlarne aiuta a comprendersi meglio ad entrare nel mondo dell’altro forse vale la pena spendere una cifra per dei pantaloni.
di Paola Aufiero
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