Ottobre 8, 2024
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Mi capita spesso di parlare con una mia cara amica di come il mondo sia cambiato negli ultimi due anni. La pandemia di Covid-19 ha alterato tutto: la percezione della nostra natura, le dinamiche sociali, lo scopo della vita. Per certi versi, molti aspetti della quotidianità sono diventati più nitidi, altri meno.

Ci siamo riscoperti esseri umani, fragili come fili d’erba, sensibili al soffio del vento. Per citare Pirandello:

“Dimentichiamo spesso e volentieri di essere atomi infinitesimali per rispettarci e ammirarci a vicenda, e siamo capaci di azzuffarci per un pezzettino di terra o di dolerci di certe cose, che, ove fossimo veramente compenetrati di quello che siamo, dovrebbero parerci miserie incalcolabili.” 

L’altro giorno chiesi alla mia amica di parlarmi del suo ultimo ricordo di un giorno “normale” 

“Una lezione di filosofia con circa duecento persone e il terrore che qualcuna di quelle avesse il virus (ride, ndr).”

Io ricordo che avevo appena dato un esame all’università, una meravigliosa giornata di sole nella bella Napoli. Pensai di sentirmi finalmente nel posto giusto. A primo impatto mi sono sentita derubata dal Covid. Ciò nonostante, grazie al periodo di lockdown ho capito che non stavo facendo abbastanza. Se non fossi stata costretta in casa, forse non sarei uscita dalla mia comfort zone e non avrei capito tante cose importanti.

In questo senso, pensi che il Covid abbia qualche merito? 

“Secondo me un lato non negativo è stato il fatto che abbiamo scoperto come reinventarci. Abbiamo trovato un nuovo modo di stare insieme. Pensiamo all’idea di cantare sui balconi. Io non cantavo, ma mi sentivo in videochiamata con voi. Si trovava un modo per non pensare troppo alla situazione che sarebbe diventata troppo pesante da sostenere per un tempo così lungo.”

Ricordi quando l’ambulanza venne a prendere il primo caso Covid della nostra città? Girò il video degli operatori sanitari in tute “spaziali” che trasportavano il paziente in barella. Su Whatsapp ci scrivesti che ci volevi bene e ci dicesti di non uscire di casa. Che scenario ti si parava dinanzi agli occhi? 

“Gente che veniva trasportata in quel modo in ospedale per non sapere nemmeno se uscisse viva o morta… era uno scenario terribile. C’era la paura per sé stessi e per gli altri. Devo dire anche una certa frustrazione, perché potevi contagiare qualcun altro magari non sapendolo. C’era senso di colpa.” 

Diresti che c’è differenza tra la paura che provavi prima del Covid e quella che provi adesso? Come la superi? 

“Quella del Covid è una paura superiore alle altre. Adesso è ridotta, credo sia dovuto anche al vaccino, ma durante il picco della pandemia provavo una paura differente da quella che potrei provare in qualsiasi altra situazione, perché lì si trattava davvero di vita o di morte. Adesso magari si può avere paura di una situazione, di un esame, ma non si arriva a pensare alla morte per queste cose.”

Il fatto che sia stata un’emergenza sanitaria mi ha reso molto più ipocondriaca. Vale anche per te? 

“Sicuramente. Questa cosa è proprio legata ai sintomi del virus. Raffreddore, febbre, sono cose che normalmente si possono prendere. C’è una maggiore esigenza di controlli, perché c’è bisogno di sicurezza.”

Hai mai pensato alla persona che eri prima del Covid e quella che sei adesso? In che modo pensi di essere cambiata? 

“Adesso ho un nuovo modo di relazionarmi. Prima ero molto più fisica nelle relazioni. Adesso mi tengo sempre un po’ più a distanza. Abbracci e baci con persone che magari conosco da poco… non più di tanto.” 

Quando mi capita di stare in stanza con persone senza precauzioni avverto una certa difficoltà. La mascherina è diventata sinonimo di sicurezza ed è bruttissimo da un punto di vista sociale. Senti di star ricostruendo una nuova “normalità”? 

“Sì, stiamo costruendo una nuova normalità, ci stiamo abituando, si inizia a vivere di più grazie al vaccino. Credo che un giorno arriveremo a togliere le mascherine, ma credo che sia un giorno abbastanza lontano, sinceramente. Non lo vedo così vicino.” 

Di solito si dice che attraversare un periodo brutto, negativo, renda più forti. Pensi sia vero? Io percepisco una grande fragilità

“Secondo me da un periodo negativo non si esce rafforzati, ma consapevoli di ciò che si è. È ciò che ci è successo. La pandemia ci ha sbattuto in faccia che siamo vulnerabili, un filo d’erba. Non parlerei di rafforzamento. Non lo vedo. Vedo più una scoperta di ciò che siamo.” 

Ci sono state giornate nelle quali dovevo tapparmi le orecchie perché ovunque mi girassi si parlava di Covid. Era semplicemente troppo. Ritieni che aver ricevuto e ricevere una grande quantità di informazioni sia stato e sia un bene o un male?

“L’informazione vera è un bene. Io credo che sia la disinformazione il problema. Dire i fatti reali e oggettivi è un conto, ma causare stress psicologico ripetendo quello che è successo in precedenza lo trovo esagerato. Anche adesso, penso ai programmi che fanno la domenica a pranzo: programmi che dovrebbero essere di intrattenimento finiscono col parlare in continuazione di Covid… ma se io voglio sapere qualcosa a riguardo vedo il telegiornale, non mi serve altro.”

Tutti noi, dai più piccoli ai più anziani, abbiamo affrontato la stessa pandemia. In che modo pensi abbia colpito di più la nostra categoria? 

“Penso che ci abbia tolto qualcosa. Un momento importante della nostra vita dal punto di vista umano. Essere costretti a seguire lezioni e vedersi solo attraverso lo schermo è stato alienante. I ragazzi hanno bisogno di scambiarsi uno sguardo, dire una parola, prendersi un caffè per allentare la tensione. La parola che un amico può dirti da vicino è differente da quella che può dirti attraverso lo schermo. Ti può motivare, però non è la stessa cosa che guardarlo negli occhi. Dal punto di vista relazionale ci ha tolto tanto.”

Si diceva che dopo il Covid tutti saremmo “diventati più buoni, più altruisti”

“La pandemia ha evidenziato quello che le persone già erano. Le persone cattive hanno finito di incattivirsi; le persone buone sono diventate ancora più buone. Riguarda il rivelare chi si è, non l’essere tutti più buoni: non ho mai creduto a questa fiaba.”

Maria Francesca Ruscitto

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