Ho questo ricordo di Bowie: backstage del suo concerto al Neapolis Rock Festival, è il 1997. Lo vedo, mi emoziono, lui, bellissimo ed etereo, bianco, praticamente ci “attraversa” come se noi fossimo inesistenti, come se noi comuni mortali, lontano dalla platea ai piedi di un palco, neanche fossimo visibili ai suoi occhi.
Ricordo Bowie, nobile non di nascita ma per nobiltà di vita
ultimo della sua dinastia con qualcosa ancora da raccontare comparve d’incanto sul palco, presentando “Earthling”. Fu per me folgorazione, elettronica, chitarre distorte, duca, meraviglia, bellezza, volgarità e ignoranza, stile e dissolutezza; Eccolo, contemporaneamente genio e musa, icona e fonte d’ispirazione. La dimostrazione fatta carne che la contraddizione e l’incoerenza appartengono agli Dei e alla vita.
Credo sia stato l’unico artista rock che abbia fatto alla musica quello che i grandi chef fanno in cucina
ha destrutturato il concetto stesso di rock, rendendolo liquido e irriconoscibile eppure sempre dannatamente solido, indimenticabile, unico. Un diavolo, che è riuscito persino a mettere in musica e arte la sua morte pianificando tutto, da duca bianco a stella oscura, nera: Blackstar.
Giovanni Scafoglio