Mélanconie, al secolo Benedetta Marcia.
“Nata a Cagliari nel 95, varie vicissitudini adolescenziali mi portano a cadere nella tossicodipendenza all’età di 15 anni. A 18 inizio un percorso terapeutico in comunità da cui uscirò due anni dopo. Nella quotidianità combatto contro il bipolarismo e cerco di riconquistarmi la vita un pezzetto alla volta . La mia malattia, che non mi definisce, che non mi possiede”
Complessa, magnetica, irriverente, potente, destabilizzante, nostalgica, incantatrice. Intimamente Lei: Benedetta e le sue moltitudini tra incubo e sogno. Ogni scatto è un racconto dell’IO.
“Vorrei che Mélanconie rimanesse solo un nome d’arte, un personaggio, un alter ego, vorrei non essere sempre così melanconica; l’unica spinta che non sia l’inerzia è montare il mio cavalletto e danzare mentre l’otturatore si apre e si chiude. E quando non riesco a stare dietro all’obiettivo, lì mi perdo e mi sembra di diventare vetro. Vorrei dirti che non sono solo questo, che sono altro, ma altro non mi sento che un piccolo gomitolo fatto di tristezza.”
Altro non mi sento che fotografia.
Ho attraversato gli autoritratti di Mélanconie esplorando un’anima senza tempo: ho sfiorato con la punta delle dita diverse epoche, concepito mille vite vissute, percepito il preludio di quelle ancora da vivere. Un solo legame, un unico comune denominatore: il Pathos.
“L’unica speranza che mi rimane è quella di non far sentire solo chi si specchia in me. E anche se adesso mi sento sola so perfettamente di non esserlo e che questo è solo un mio capriccio, un modo per versare più in fretta le lacrime che servono per svuotarmi e ricompormi.”
Mélanconie sussurra per noi le parole che non riusciamo a pronunciare; grida per noi quando non riusciamo a emettere alcun suono.
Benedetta lenisce le nostre ferite esponendo le sue.
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